di Stefano Manocchio
Forse non è il caso di scomodare il grande Giorgio Gaber e la sua iconica canzone che giocava su cosa fosse di destra e cosa di sinistra; certo è che all’indomani delle elezioni politiche in Italia, alcuni partiti si sono svegliati da antico torpore e hanno scoperto che il popolo, inteso come masse militanti, non si sentiva più da loro rappresentato bensì da un partito che pochi anni addietro era ai margini della rappresentanza parlamentare. Non è l’unica novità e viene da chiedersi cosa sia cambiato, ad esempio, negli anni in maniera radicale in Italia al punto da determinare in poco tempo l’ascesa di una forza che si ostina ancora a non farsi chiamare ‘partito’ ( il Movimento Cinque stelle) mentre, di contro, quello che è ancora forse il partito più strutturato, il PD, conosce una crisi di consensi e forse anche d’identità. In Italia lo scossone è stato forte e in Molise si aspetta di capire se succederà anche dalle nostre parti, dopo le ‘prove generali’ delle politiche o se si rimarrà nell’alveo più classico, quello con centro destra e centro sinistra che hanno buona parte del programma elettorale nelle intenzioni simile, salvo distinguersi, in maniera forte, solo su due o tre temi portanti.
Certo è che la logica partitica in Italia è cambiata anche repentinamente, al punto da far sembrare obsoleto un concetto di politica che invece era stato dominante per circa quarant’anni ovunque, dalla Nazione alla Regione. Si dovrà capire in cosa hanno sbagliato i referenti dei maggiori partiti, per la nascita del ‘fenomeno’ Fratelli d’Italia e per far diventare il quadro dei poteri così confuso.
I partiti di un tempo non ci sono più; alcuni mantengono il simbolo ma sono mutati nella sostanza e le formazioni politico/elettorali si reggono sulla capacità di ottenere consensi da parte del singolo esponente. I partiti poi, controllandosi a vicenda, garantiscono una certa stabilità, leggermente traballante (permettetemi l’ossimoro) da considerare più unica che rara in questo periodo storico.
Sono venute meno negli anni proprio le identità politiche: prima c’era la DC che comandava tutto, il PCI che si opponeva più o meno a tutto, l’area laico-socialista che agiva a metà strada, il polo liberale e il MSI che viveva di un retaggio antico ed aveva un’identità chiara sui cui non permetteva trattative. Alla bisogna il ‘famoso’ pentapartito assicurava un minimo di stabilità, con i repubblicani di Giovanni Spadolini che si vantavano di essere ago della bilancia per permettere di mantenere rappresentanze parlamentari. Il cantautore-menestrello, Rino Gaetano, nello stesso periodo storico, con lo scioglilingua “DC/PCI/PSI….fotografava il momento confuso, che non è molto cambiato nel tempo, ma che allora, proprio per il discorso sulle identità politiche, imponeva dei limiti ai singoli, che erano comunque parte del tutto e niente affatto indipendenti nelle decisioni finali.
Tradotto dal politichese, la ‘tansumanza’ di esponenti da una parte all’altra non c’era e il quadro permetteva di ragionare ad ampio raggio. Si potrebbe obiettare che il sistema elettorale proporzionale portava a governi che si avvicendavano continuamente; vero, ma più o meno erano sempre condotti in porto dallo stesso partito, la DC, quindi avevano una sorta di ‘instabilità controllata’ (secondo ossimoro!). Ora invece è un marasma generale ed ogni partito ha esponenti provenienti da quasi tutte queste aree politiche, che ‘fingono’ di avere intenti comuni, ma di fatto restano con le antiche divisioni che però ( è questo il dramma) sono tutte al loro interno. La differenza è che nel resto del Paese si superano ‘provvisoriamente’ le divisioni per governare o fare opposizione, mentre dalle nostre partiti non vengono nascoste soprattutto in prossimità elettorale e tutto si blocca per mesi.
Restiamo al livello regionale. Le lotte intestine alla maggioranza di centro-destra non vengono più nascoste e determinano un sentimento strano e differente; da un lato si pensa che un filo si stia spezzando, portando la politica sempre più verso i personalismi; dall’altro il quadro politico regionale resta fortemente ingessato. Il ‘caso’ della diatriba Forza Italia- Orgoglio Molise (o meglio tra parti della prima sigla politica e della seconda) è stato subito personalizzato e riportato allo schema: Toma contro Patriciello, Cefaratti contro Cotugno, quindi Cotugno contro Patriciello. La proprietà transitiva della politica, che riporta alle persone quello che dovrebbe essere un discorso di dialettica partitica, anche aspra ma pur sempre collettiva. E’ il problema del Molise dove i partiti sono le persone e non viceversa.
Se Atene piange, Sparta non ride (o viceversa). Parimenti dall’altra parte la scelta del candidato a presidente della Regione Molise per il centro sinistra diventa la disputa Facciolla-Fanelli nel PD, con il Movimento Cinque Stelle per il momento esentato dai personalismi perché ha una diversa logica organizzativa, che non è detto che sia migliore ma sicuramente più collegiale. Il risultato finale è che oggi in Molise tra destra (o centro destra) e sinistra (o centro sinistra), sembra essere calato il gelo istituzionale, ma anche le differenze sono praticamente azzerate. “Dì qualcosa di sinistra” la nota frase associata al nome di Nanni Moretti calza a pennello nella situazione molisana, dove anche i progressisti hanno ‘abdicato’ e scelto una dialettica decisamente più semplice, lasciando l’appello ideologico quasi inascoltato. Alle regionali del 2023, però alla fine risulterà vincitore chi avrà un’identità e logica politica chiara, oltre ad un elettorato naturalmente più numeroso. Chi possa essere naturalmente al momento non è dato sapere.
Ad majora semper…o almeno lo speriamo.