Riceviamo e pubblichiamo
Che dire? Che quei pochi molisani che si sono recati al voto non hanno voluto cambiare. Sono convinta che bisogna partire da questo assunto per poter capire il risultato delle regionali ed interrogarsi sulle sorti di questo angolo d’Italia su cui si spegneranno i riflettori dopo un ingiustificato interesse montato ad hoc.
Inspiegabilmente, in tanti dibattiti televisivi e discorsi della gente si guarda all’effetto e non alla causa: in questo caso, si sta solo puntando l’obiettivo sull’affermazione del centro destra senza pensare a quello che c’è stato dietro: al contrario, è proprio quel retroterra ciò a cui bisogna guardare se si vuol capire meglio che cosa è accaduto e se, soprattutto, si vogliono avere gli strumenti giusti per far sì che ci sia una svolta per il Molise, un giorno o l’altro.
Le cause sono state molteplici:
1) innanzi tutto il fatto che una sporadica percentuale degli aventi diritto al voto (poco più del 52%) si è recata al voto, nonostante questo fosse, per noi molisani, un appuntamento ben più importante delle politiche: in sintesi, nel più totale disinteresse verso il destino della propria terra e nonostante i piagnistei sul suo cattivo andazzo, un molisano su due non è andato a votare;
2) in secondo luogo, il fatto che, pur tappandosi il naso e mettendo da parte antichi dissapori, per una questione di principio e solo per quella (ossia di battere i Cinquestelle) il centro-destra ha creato una pletora di liste e listarelle che potessero arginare l’ondata dei pentastellati;
3) in terza analisi (anche per importanza, e non certo da addurre come prima causa), il fatto che le elezioni regionali si sono tenute in una fase distinta rispetto alle politiche;
4) in quarto luogo, il fatto che i pentastellati dovevano invitare i leader nazionali ben prima dell’ultima settimana se volevano galvanizzare la popolazione e farle capire perché doveva esserci il “voto utile” (soprattutto per gli scontenti del centro-sinistra);
5) infine, il fatto che il leader del centro-destra -una persona fino all’altro ieri poco nota a tutti gli entourage politico-amministrativi- ha lasciato che gli esponenti nazionali, da sempre ignari dell’esistenza del nostro fazzoletto di terra, gli facessero la campagna elettorale e parlassero, in molti casi, a nome suo.
Ho seguito tanti dibattiti in TV nell’attesa dei risultati: sono rimasta stupita dall’insistenza sulla sconfitta del centro-sinistra -che non è stata affatto una sorpresa- e sulla percezione poco puntuale della rimonta del centro-destra sul movimento di Beppe Grillo.
Inoltre, quasi tutti si sono dimenticati del fatto che nel basso Molise, compresa Campobasso, quest’ultimo è andato alla grande, mentre nell’isernino ha prevalso la coalizione di Donato Toma. L’area con i maggiori problemi a livello industriale, quella che più di tutte ha scontato politiche clientelari anche a causa dell’indebita ingerenza della regione in varie aziende attraverso le partecipate, ha pensato di non cambiare, pur avendo visto all’opera chi adesso si presenta come il paladino di una nuova realtà territoriale che crescerà, attirerà investimenti e sarà tutto un altro andare.
In aggiunta, pochi commentatori hanno sottolineato questo aspetto, che secondario non è: è stato detto che gli aventi diritto al voto in Molise sono poco più di 300.000, includendo i residenti all’estero. Si è recato alle urne il 52% (meno venti punti percentuale rispetto alle politiche e meno nove punti rispetto alle regionali di cinque anni fa): questo significa che hanno votato 156.000 persone. Donato Toma ha avuto circa 72.700 preferenze: in pratica, rappresenta meno di un quarto della popolazione molisana: si può ritenere significativo questo dato o bisogna chiudersi occhi ed orecchie perché tanto la legge elettorale non richiede un quorum?
Che si dia spazio alle mie esternazioni a livello mediatico poco importa. Probabilmente, in questo mondo ossessionato dal “politically correct” che gli sta facendo perdere il senso della oggettiva valutazione delle cose, di spazio non me ne verrà dato, ma ciò nonostante rimane un dato di fatto: ci era stata data la possibilità di cambiare, lo strumento era tutto nelle nostre mani, senza grandi istruzioni per l’uso, eppure lo abbiamo gettato alle ortiche.
Donata Maurilli