«Festeggiare il 1° maggio, significa ricordare a tutti i nostri rappresentanti politici che il lavoro deve essere una priorità che non ammette equipollenti, perché è l’unico vero mezzo per sconfiggere la corruzione, il ricatto e le tante molestie anche sessuali che ogni giorno si perpetrano a danno delle persone e delle donne in particolare.
La Costituzione all’art.1 inneggia al lavoro, bene prezioso per la dignità delle persone, nel successivo art. 3 afferma il principio di pari dignità sociale e di uguaglianza di tutti i cittadini “senza distinzione di sesso” e nell’art. 37 enuncia il principio in base al quale “la donna ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore…..”.
Le leggi che si sono succedute negli anni, tra cui la L.n.300/70 –Statuto dei Lavoratori-, la legge n. 877/73 sul lavoro a domicilio, la l. n.903/77 che per prima ha ribadito il principio costituzionale di parità, hanno sempre più regolamentato, da un punto di vista formale, il lavoro e i diritti dei lavoratori, ma è solo con la legge 125/91 che è stata sancita la promozione di azioni positive per la realizzazione, in concreto, del principio di parità e pari opportunità e, dunque, di non discriminazione. Tuttavia tali conquiste, costate decenni di battaglie, sono rimaste spesso solo sulla carta ed oggi vengono minacciate dalla ripercussione della crisi economica e da una pesante involuzione politica.
Ma qual è il ruolo della donna oggi nel mondo del lavoro?
Il dilemma è nella scelta tra famiglia e lavoro e la responsabilità della famiglia e dei figli ricade sempre sulle donne. Secondo i dati del World Economic Forum, le donne italiane sono le prime al mondo per iscrizione all’università e le ultime per partecipazione al mercato del lavoro.
Le donne che completano il percorso di studio sono il 17% a fronte del 12% dei maschi
Eppure la disoccupazione femminile è del 3% superiore a quella maschile e il part time, molto spesso imposto, riguarda il 40% delle donne e solo il 16% gli uomini.
Siamo al 118° posto su 140, peggiori in Europa, per partecipazione femminile alla vita economica del Paese. Le donne lavorano meno degli uomini, con conseguente riduzione di guadagno che si ripercuote negativamente anche sulla pensione.
Tutto questo perchè la questione femminile non è ancora risolta ed è una delle più grandi ingiustizie italiane. Secondo l’agenzia europea Eurofund il costo complessivo per l’Italia per la sottoutilizzazione del capitale umano femminile è pari a € 88 miliardi, cioè il 5,7% del PIL a causa della discriminazione di genere. Mettere le donne in condizione di lavorare, significa far crescere l’Italia anche demograficamente, rimuovendo le barriere discriminanti per le donne in gravidanza e in puerperio, dando alle stesse maggiori opportunità di conciliazione dei tempi famiglia-lavoro.
Insomma la strada è ancora lunga da percorrere.
La discriminazione è purtroppo un fattore culturale che riaffiora ogni qualvolta si tratti di occupare un posto di lavoro e questo, in un Paese che si definisce civile e democratico, non può più essere consentito».
Consigliera di Parità Regionale
Avv. Giuseppina Cennamo