Il risultato elettorale del 4 marzo è talmente chiaro che non ha bisogno di commenti e sofisticate analisi, che pure in seguito ed in altra sede proverò a fare. Era già scritto da tempo e solo chi aveva interessi personali da difendere non se ne era accorto. La drammaticità della situazione emersa dal voto impone di essere espliciti, bandire ogni forma di reticenza. E di essere celeri, veloci nel fare scelte coraggiose prima che gli elettori certifichino la scomparsa definitiva della sinistra ed il centrosinistra.
Certo è che nelle dichiarazioni dei responsabili di questa debacle, che evocano Flaiano quando affermava che “la situazione è grave ma non è seria”, non è neanche lontanamente rintracciabile il tentativo di fare chiarezza, di ammettere le proprie colpe, di mettersi in discussione: peggio di Renzi.
E non è che va meglio sul versante di coloro che prima hanno determinato l’ingresso e la investitura ai massimi livelli del centrosinistra di persone di chiara e notoria storia di destra, prendendone poi le distanze quando da questi sono stati scalzati e fagocitati. Non commento per carità decoro le dichiarazioni del Magnifico quando definisce “eccezionale il risultato di Liberi e Uguali nel Molise”. Se invece del 3,7% dei voti avessero ottenuto il 37%, per i festeggiamenti avrebbe decretato la chiusura dell’ateneo molisano per almeno un decennio.
La cosa più sconcertante è però la passività con la quale quel che rimane del popolo di sinistra e di centrosinistra assiste inerme ed inerte alla distruzione della più nobile tradizione politica italiana, costruita con le lotte ed il sangue di milioni di persone per ottenere una società più equa, più libera, più democratica, più inclusiva. Persone, uomini e donne che hanno subito sulla propria pelle umiliazioni, discriminazioni.
Ce ne sono ancora di questo tipo di persone, anche nel Molise, le conosco. Molte sono disilluse, disperse. Spero, ancora non arrese. Queste persone e quei giovani che vorrebbero impegnarsi nel processo di ricostruzione di una sinistra egualitaria e libertaria, ma non hanno e non trovano gli strumenti, i mezzi, gli spazi, i luoghi, le organizzazioni per farlo, devono agire.
A questi compagni, sì li chiamo così, rivolgo l’invito a dire ad alta voce e senza mezzi giri di parole che quello del 4 marzo è stato un voto dato contro un ceto politico che si attarda unicamente a salvare le proprie posizioni e le proprie rendite, incurante delle crescenti difficoltà dei ceti sociali più deboli. Per ridare senso e dignità alla politica, che questa politica ha perso da un pezzo, non è più rinviabile la “cacciata dei mercanti dal tempio”.
Non è vero che tutto è perduto, che non c’è più nulla da fare, se questo ceto politico per una volta e almeno al cospetto di tale disastro provasse a darsi un minimo di dignità e a provare a comportarsi da classe dirigente. Se per una volta mostrasse un briciolo di generosità, si mettesse autonomamente in discussione e facesse un passo indietro.
Ma proprio questa è la domanda : lo farà? Pare proprio di no. Per questo bisogna imporlo.
Proviamo per una volta ad assurgere alla cronaca nazionale senza doverci vergognare (ricordiamo tutti Le Iene, la telefonata a Vincenzo ed altri episodi vergognosi). Proviamo ad attivare un processo positivo, virtuoso, non fosse altro perché il 22 aprile saremo chiamati ad eleggere il presidente della regione ed il consiglio regionale. Questo appuntamento non può e non deve essere gestito da chi ha già determinato il disastro del 4 marzo. Non c’è un minuto da perdere. Non domani ma ora bisogna chiedere ed ottenere l’azzeramento dell’intero gruppo dirigente(?) del centrosinistra e far partire un percorso che, nella situazione data, seppure non dovesse sortire positivi risultati elettorali immediati, avrà il merito di aver creato le premesse per la rigenerazione della sinistra e della politica.
Domenico Di Lisa