Una terra senza memoria storica è priva di punti fermi, non ha rispetto di sé stessa ed è più fragile, indifesa e allo sbando. Il Molise dei nostri giorni è senza classe dirigente, con un tessuto imprenditoriale autoctono debole e smarrito, una politica screditata, un associazionismo flebile, un quarto potere finito in un labirinto senza uscite, un’Università gestita a scavalco tra Bari e Napoli, un’assenza di Istituti di Credito, salvo lodevoli eccezioni di minor rilievo, una chiesa scossa dai mutamenti epocali e da vicende in chiaroscuro, un sindacato già organizzato su dimensione interregionale, ordini professionali poco aperti all’esterno, e l’inesistenza di centri di ricerca, fondazioni bancarie o personalità di spicco capaci di incidere a livello nazionale. Una Regione senza amor proprio è facile preda per le scorribande, sia di chi arriva a far saltare nottetempo i Bancomat e sia soprattutto di colletti bianchi che a tavolino ne possono tratteggiare un nuovo volto a proprio uso e consumo. I nuovi padroni non sempre hanno necessità di usare la violenza per imporre estorsioni, controllare appalti, gestire traffici illeciti, riciclare denaro e acquisire imprese, proprietà immobiliari o altri beni. La mala foggiana insieme a infiltrati della Ndranghheta o a camorristi che hanno trovato riparo in Molise sono solo la faccia più nota della medaglia, quella che lascia tracce perché più rozza, tradizionale e violenta. I più pericolosi però sono quelli che si presentano in giacca e cravatta, come ci hanno insegnato Pio La Torre, Rocco Chinnici, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Antonino Caponnetto ed il Pool di Palermo. Quelli che gestiscono studi professionali o attività imprenditoriali di successo, banche, società finanziarie, cliniche, conglomerate, sodalizi, reti digitali, cordate affaristiche, aziende multiservizi, imprese innovative o progetti di finanza. C’è un modo felpato, pervasivo ed elegante, per pianificare l’occupazione di un territorio introducendosi al momento giusto nei gangli del potere per disinnescare i controlli, aprire le porte al resto della truppa e agguantare le redini di ciò che più interessa senza dare troppo nell’occhio. Questa descrizione non è dissimile da ciò che è accaduto nell’ultimo decennio in Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria o Emilia. La differenza tra quei territori ed il Molise, è la forza di reazione della società civile, delle istituzioni locali, dell’associazionismo imprenditoriale e sindacale, del volontariato e delle reti di potere radicate in quelle realtà indisponibili a lasciare spazio a potentati esterni di matrice violenta. La fragilità del Molise è manifesta. Nessuno ricorda pagine del passato recente o remoto, figure, episodi, intrecci e percorsi affaristici. Un vuoto di memoria che non è addebitabile solo al destino cinico e baro, e che spiana la strada a chi ha scientificamente pianificato di aggregare il Molise alle terre in cui la legge si applica per gli avversari e si interpreta per gli amici. I rari vagiti di encomiabili personalità, associazioni studentesche, organizzazioni o amministrazioni locali, cadono nel vuoto con sommo gaudio di chi non deve nemmeno spendersi più di tanto per coronare un disegno di raffinatissima fattu
Michele Petraroia