Senza voler vantare primogeniture, possiamo dire almeno di aver segnalato, praticamente in solitudine, la necessità di una riflessione su una questione generale e che questa aveva avuto vasta eco nell’opinione pubblica e ancor più nei settori ‘tecnici’ di competenza e anche immediato riscontro anche negli ambienti politici. Ora, dopo circa un anno, l’argomento è tornato alle cronache politiche regionali. Ci riferiamo al ‘caso- Molise Acque’, con la novità rappresentata dalle dichiarazioni del presidente della Giunta regionale, Donato Toma, di non rinnovare alcune delle concessioni in scadenza ai privati per la gesione delle centraline idroelettriche, nello specifico quelle situate a valle della Diga del Liscione. E’ bene precisare che il nostro, lo scorso anno, non era stato un riferimento specifico a questa concessione in particolare o ad altre, ma una considerazione generale, che adesso ricorderemo. La base di partenza sono le concessioni regionali, in favore di soggetti privati, a derivare ad uso idroelettrico determinati quantitativi di acqua in transito sulle condotte di Molise Acque, dietro pagamento di un canone annuo e la convenzione per lo sfruttamento per la gestione della risorsa idrica ad uso idroelettrico. In sostanza il privato può produrre e rivendere energia, versando all’Ente pubblico delle royalties. Un’azienda pubblica cedeva una parte redditizia di un accordo al privato che avrebbe invece potuto incamerare sfruttando direttamente le risorse con gli utili che ne sarebbero conseguiti; vista la situazione debitoria di Molise Acque, che negli anni ha accumulato, per una complessità di motivi, perdite consistenti, sarebbe stata oportuna proprio le gestione diretta delle risorse, proprio nella logica del risanamento del bilancio aziendale.
Della questione si sono attivamente occupati nel tempo alcuni consiglieri del Movimento Cinque Stelle che, dopo un percorso di studio, hanno presentato una mozione in Consiglio regionale, bocciata dalla maggioranza; adesso il presidente Toma ha ammesso che quello è stato un errore e di fatto riconosciuto una sorta di dietro-front con la decisione di ipotizzare di non rinnovare la concessione trentennale dopo la scedenza.
Stefano Manocchio