Legge elettorale, Di Lisa: “collegio unico regionale e preferenza plurima”

Riceviamo e pubblichiamo

Le elezioni regionali sono alle porte e, pare, il Consiglio regionale si appresti a modificare la legge elettorale. Le leggi elettorali non sono neutre: ne sono una prova sia il lungo ed estenuante dibattito al quale abbiamo assistito a livello nazionale che le schermaglie pre estive nel Molise.

In via teorica riformare la legge elettorale regionale non è un obbligo e, pertanto, chi si propone di farlo dovrebbe chiarire quali sono le ragioni alla base di questa scelta.

Personalmente ritengo necessario modificare la legge elettorale in vigore ma anche di considerare eccessivamente tardiva tale scelta.

Tutti i sistemi presentano rischi ed inconvenienti e non esistono modelli perfetti perciò, sulla base delle peculiarità e della esperienza, occorre uno sforzo teso a definire un sistema o modello che meglio di altri risponda alle esigenze ed alle caratteristiche del Molise. Va precisato, comunque, che una legge elettorale non può e non deve essere fatta pro domo mea né contro qualcuno. Eppure è proprio la faziosità la caratteristica del dibattito sinora sviluppatosi.

A me pare evidente che tra i punti più importanti che la legge elettorale deve affrontare vi è quello relativo alla qualità della rappresentanza. La legge elettorale, di per sé non risolve, ma può aiutare ad affrontare il problema della selezione della classe dirigente.

Nel Molise si elegge un consigliere regionale ogni 14.000 abitanti mentre in Lombardia viene eletto un consigliere regionale ogni 125.000 abitanti, eppure la legge elettorale attuale è la stessa per il Molise e per la Lombardia.

E’ del tutto evidente che la preferenza unica nel Molise ha determinato, praticamente, la scomparsa del voto di opinione e dei partiti, perché troppo forte è il rapporto tra candidati ed elettori. I criteri utilizzati dagli elettori sono la conoscenza diretta, parentela, appartenenza ad un determinato territorio, clientelismo. La riprova di questo rapporto asfissiante tra candidato ed elettore è confermato dal fatto che nel Molise almeno il 90% degli elettori esprime la preferenza mentre nelle altre regioni la percentuale è al massimo del 30-40%.

La scelta dei collegi uninominali, proprio per le minuscole dimensioni della nostra regione, non farebbe che acuire “l’assolutismo territoriale” dei criteri di selezione, per cui è da rifiutare decisamente.

Bisogna provare a liberare il voto di opinione attraverso l’introduzione del collegio unico regionale e la plurima preferenza (magari quattro, dovendo garantire l’alternanza di genere). Questo darebbe la possibilità all’elettore di votare non solo il candidato che lo rappresenta per appartenenza ad un comune territorio, per parentela o conoscenza diretta, ma anche chi ritiene abbia le capacità politiche e culturali per affrontare i problemi del Molise.

Altro punto qualificante è quello relativo al voto congiunto o disgiunto.

La legge n.165/2004, concernente le disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione, vincola il Consiglio regionale alla individuazione di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze e assicuri la rappresentanza delle minoranze e alla contestualità dell’elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale, se il Presidente è eletto a suffragio universale e diretto.

Pertanto al Presidente eletto direttamente deve essere garantita la elezione di una maggioranza di consiglieri. Ci deve essere perfetta immedesimazione tra Presidente e maggioranza. Non è ammesso il caso della cosiddetta “anatra zoppa”, ovvero di un presidente senza maggioranza, così come verificatosi per esempio al Comune di Isernia alcuni anni fa. Pertanto, che senso ha il voto disgiunto? Lo ha solo per coloro che non hanno la forza di decidere il candidato presidente del proprio schieramento e lo subiscono. Ergo, pur di farlo perdere preferiscono andare all’opposizione.

Anche la questione della soglia di sbarramento va inquadrata in questo contesto e la domanda sorge spontanea: che senso ha introdurre soglie di sbarramento elevate sia per le coalizioni (10-15%) che per le liste, dato che al presidente eletto viene garantita comunque la maggioranza? Consentire la possibilità di essere rappresentati anche a minoranze politiche attive, favorisce la partecipazione e la democrazia. Elementi che a me paiono importanti almeno tanto quanto la stabilità di governo e la cosiddetta governabilità, che possono essere garantite solo attraverso un patto di reciproco rispetto e legittimazione tra gli schieramenti, che devono pubblicamente impegnarsi a rifiutare di accettare il passaggio di un eletto da uno schieramento all’altro durante il corso della legislatura e a non candidarlo in quella immediatamente successiva.

Bisogna bandire ogni sorta di trasformismo, fenomeno che ha non solo inquinato ma degradato la politica.

Infine, una notazione sul listino maggioritario. Forse originariamente nelle intenzioni del legislatore il listino doveva essere lo strumento attraverso il quale esprimere la squadra di governo e/o il coinvolgimento di personalità di spessore culturale, professionale, fuori dal circuito della politica ma utili alla politica (quella con la P maiuscola) ed alla società. Sarebbe stato uno strumento utilissimo.

Nella prassi è divenuto però elemento di corruzione e di ulteriore degrado della politica perché utilizzato dai “partiti” (il virgolettato è puramente voluto) per accontentare capibastone, clienti, segretari, che non avrebbero preso un voto, voltagabbana.

Quasi tutti gli eletti nel listino nel 1995 furono artefici del primo ribaltone in Italia.

A queste condizioni è preferibile superarlo.

Domenico Di Lisa

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