Nell’incontro Governo-sindacati dedicato alla questione salario-inflazione, avrebbe dovuto tener conto delle famiglie italiane ridotte alla fame nonostante le elemosine elargite con molta parsimonia e dei lavoratori stremati e con salari da elemosina, si registra la solita pantomima con il risultato che di certo riserverà dolcetti ai ricchi e la carta della confezione ai poveri.
Attendo la botta, che chissà perché, da trent’anni ad oggi è toccato sempre al poraccio rimpinguare le casse per i finanziamenti ai ricchi.
L’Esecutivo o con il tè del pomeriggio o con il caffè della mattina continua a dirigere la compagine sindacale su posizioni che affossano il povero sempre di più e finanziano il ricco tant’è che la forbice si è allargata al punto tale che; il povero striscia e il ricco vola.
La presa per i fondelli di chi dice che il salario non può rincorrere l’inflazione, poiché compromette i margini di crescita dell’economia, viene contraddetta dai dati Istat, Inps, Ocse che dicono che i salari sono fermi, anzi sono diminuiti negli ultimi 30 anni del -2,9%, mentre i prezzi, con il costo della vita sono schizzati verso l’alto tanto da veder moltiplicato persone e famiglie ridotte sul Lastrico, circa sei milioni.
L’ipotesi di pervenire a un accordo ispirato alla politica dei redditi messa in campo dal Governo Ciampi nel 1993 non è mai decollata e se proposta di certo non avvantaggerà i lavoratori
Politiche salariali, provvedimenti rivolti a salvaguardare il potere di acquisto dei salari, fermare la crescita dei prezzi, ridurre il cuneo fiscale sulle retribuzioni lorde, rinnovo dei contratti collettivi scaduti, l’introduzione del salario minimo legale, slogan pieni di significato in bocca a cadaveri ambulanti.
Su questi temi sarà aperta la sceneggiata degli incontri specifici a partire dal 23 luglio, ammesso che si abbia ancora un governo, potrebbe essere l’ennesima supposta per chi guadagna meno di sette/ottocento euro mese.
L’intervento sul cuneo fiscale, con la riduzione del prelievo Irpef su retribuzioni o sui contributi sociali a carico dei lavoratori, potrebbe consentire un aumento delle retribuzioni nette in grado di compensare il differenziale negativo tra; l’inflazione reale che viaggia a un ritmo superiore all’8%, e gli aumenti contrattuali regolati da indicatore Ipca (indice dei prezzi depurato dagli aumenti dei costi dell’energia importata) stimato dall’Istat sul 4,7%.
Gli aiuti distribuiti a pioggia tipo i 200 euro servono a poco e sono come le briciole che cadono sotto il tavolo del ricco epulone, ad evitare la disaffezione al lavoro e compensare parzialmente la situazione occorre:
Il rinnovo dei contratti scaduti, e un’integrazione salariale per quelli rinnovati sulla previsione dell’inflazione,IPCA, rimane la condizione indispensabile per riequilibrare lo scompenso inflattivo.
La metà dei lavoratori sono privi di rinnovo contrattuale, circa 10 milioni, del settore pubblico e dei servizi.
Un terzo dei lavoratori dipendenti privati, 4,5 milioni, percepisce salari inferiori ai 12 mila euro lordi sulla base di una stima effettuata di recente dall’Inps.
Circa 1,5 milioni di lavoratori domestici e dell’agricoltura hanno basse retribuzioni contrattuali.
Riduzione del numero delle ore medie lavorate dovuto ai contratti a termine e a part-time involontario ai quali si aggiunge, prestazioni lavorative sommerse.
L’impegno a rinnovare gli accordi deve essere assunto in presa diretta dal Governo, anche perché potrebbe avere un costo non indifferente di circa 30 miliardi.
Per offrire una risposta degna di essere presa in considerazione serve: la definizione di un salario minimo legale, e la riduzione dei contratti a tempo determinato lotta al lavoro nero e/sommerso.
Le proposte, all’italiana, applicare per tutti i trattamenti economici non inferiori a quelli previsti dai principali contratti collettivi nazionali di settore sottoscritti dalle rappresentanze datoriali e sindacali maggiormente rappresentative, fa ridere perché le statistiche e gli studi che riportano un -2,9 per cento il salario degli ultimi trent’anni è fatto sui contratti firmati da CGIL-CISL-UIL, mentre i Ceo hanno visto aumentare spaventosamente i loro salari.
Il salario minimo legale eviterebbe salari da fame,mentre il proporre cure fallimentari, come nel passato, quando sono stati trinciati oltre 100 miliardi per sgravi contributivi sulle assunzioni a tempo indeterminato, sui bonus Renzi e l’introduzione periodica di nuovi vincoli per limitare l’utilizzo dei contratti a termine nonostante i fallimenti, queste continuano a essere le terapie che vengono riproposte per curare la malattia che fa boccheggiare nella miseria il lavoratore.
Solo un ritorno al passato, ricordo camerieri che guadagnavano fior di stipendi con la percentuale di servizio, che altro non era; la compartecipazione del lavoratore alla vita dell’impresa godendo i benefici ,potrebbe far risalire la tanta agognata Produttività.
A chi si pone la domanda di come favorire una crescita della produttività e dei salari collegati ai risultati la risposta c’è, ma incompetenza, inconsistenza, incapacità e soprattutto ignoranza l’hanno messo ai margini del confronto, anche se all’uomo della strada è evidente a che l’invocata transizione digitale e ambientale dell’economia italiana presuppone un aumento del tasso degli investimenti e della produttività, l’adeguamento delle organizzazioni produttive e delle competenze dei lavoratori..
L’assenza di un tavolo di persone competenti, in contrasto alle presenti risultanti corporative al massimo, esalta polemiche inconcludenti e priva le rappresentanze sociali di capacità di individuare risposte concrete per risolvere i problemi reali.
Alfredo Magnifico