“La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, ‘Giorno della Memoria’, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. In occasione del ‘Giorno della Memoria’ sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere”.
È la legge n. 211 del 20 luglio del 2000, che ha istituzionalizzato il “Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”.
Solo due articoli, secchi, stringati, ma pregni di un grande significato storico, morale e sociale. Due articoli che richiamano alla nostra memoria eventi orrendi e indicibili, che non possono essere liquidati con la narrazione di quanto è accaduto e i discorsi memoriali che ne esprimono la condanna.
Sarebbe estremamente riduttivo limitare la riflessione a ciò.
Penso che ognuno di noi debba riscoprire il significato autentico di questo giorno, il senso etico di un’operazione che, attraverso il ricordo, porti la società a interrogarsi se veramente l’avversione per l’eterogeneità riferita a razza, colore della pelle, credo politico, religione, sesso, sia stata definitivamente archiviata dal nostro codice comportamentale, oppure no.
Perché di questo si tratta: avere il coraggio di guardarsi intorno, senza far finta di non vedere e non sentire, comprendere come sia potuto accadere che siamo diventati un po’ tutti figli dell’indifferenza, dell’algidità, dell’egoismo.
Il 27 gennaio 1945 vennero abbattuti i cancelli di Auschwitz.
Ma quanti cancelli, quanti muri, quante barriere di filo spinato vengono ancora eretti in diverse parti del mondo? Quanti conflitti, quante pulizie etniche i nostri occhi hanno visto dopo il ‘45 e continuano a vedere giorno dopo giorno?
E se l’antisemitismo è stato consegnato all’abominio dalla storia passata e da quella presente, ciò non deve farci abbassare la guardia rispetto a eventuali rigurgiti di ideologie pericolose che, nello scacchiere internazionale, sono ancora oggi causa di genocidi ed epurazioni etniche, a fronte dei quali le democrazie avanzate riescono a fare ben poco, se non limitarsi a esprimere sdegno e riprovazione.
Abbiamo due possibilità: che il “Giorno della Memoria” sia solo un lavacro della coscienza collettiva, oppure diventi occasione per riaffermare il rispetto dei diritti dei cittadini, che non può essere disgiunto da quello degli uomini nell’accezione più generale.
Qualora scegliessimo la seconda – e sono fermamente convito che non si debba fare diversamente – avremmo il dovere di rispolverare dalla nostra Carta costituzionale due articoli che, non a caso, i padri costituenti hanno posto in capo ad essa, ai numeri 2 e 3: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
E ancora: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di carattere economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Dobbiamo ripartire da qui e dobbiamo farlo rivolgendoci soprattutto ai nostri giovani, che saranno i cittadini di domani.
La scuola può fare tanto, ma anche le istituzioni, i mezzi di informazione, la televisione, come avviene, peraltro, da diversi anni in occasione della “Settimana della Memoria”.
Bisogna insistere, continuare, affinché si passi dalla reminiscenza evocativa al ricordo costruttivo.
Solo così avremo onorato compiutamente la memoria delle vittime della Shoah e posto le condizioni per un futuro migliore.
Donato Toma
Presidente Regione Molise