Egregio Direttore,
mi permetta innanzitutto di ringraziarla per lo spazio che ha inteso concedermi. Ho pensato fosse giusto – oggi, nel giorno della Festa dell’Europa – scrivere queste poche righe per condividere con lei e con i suoi lettori una piccola riflessione su una ricorrenza così importante e tuttavia troppo spesso sottovalutata, se non addirittura trascurata. Sono perfettamente consapevole – come cittadino e padre di famiglia prima, e imprenditore e politico poi – delle difficoltà che attraversa oggi l’Europa, stretta com’è da una crisi economica e politica senza precedenti e da un diffuso senso di “euroscetticismo” che certamente non fa bene alla credibilità delle sue istituzioni.
Ma tant’è, e da più parti ascoltiamo in queste ore l’invito a non festeggiare un’Europa distante e lontana dalle reali esigenze dei cittadini.
Io ritengo invece che mai come oggi sia importante ricordare gli avvenimenti del 9 maggio 1950 per comprendere appieno il significato di un’idea – l’unità politica dell’Europa – che ha completamente trasformato il modo di concepire la politica sul continente e che è ancora di grande e stringente attualità. E spiego il perché.
Certamente l’idea di un’Europa unita non nasce nel maggio 1950. Essa ha infatti radici ben più profonde nella storia del pensiero e a più riprese si è tentato nel corso dei secoli – il più delle volte con la forza delle armi – di unire il continente sotto un’unica bandiera. La storia ci ha insegnato quale sia stato il prezzo – umano, sociale, politico, economico – che le generazioni precedenti hanno dovuto pagare per aver vissuto simili stravolgimenti.
Quello che avviene il 9 maggio di 64 anni fa è invece qualcosa di diverso. Di estremamente innovativo nella sua semplicità. Il discorso di Robert Schuman, la sua “dichiarazione” che oggi festeggiamo e ricordiamo come l’atto di nascita dell’Unione Europea, rovescia la logica della dominazione dello Stato nazionale e apre la porta all’avvio dell’integrazione pacifica del continente europeo. Il tutto, è bene ricordarlo, all’indomani del più sanguinoso e tragico conflitto che la storia europea abbia mai vissuto.
È questa dunque la grande intuizione dei padri fondatori: mettere insieme le risorse economiche ed industriali degli Stati per creare quella “solidarietà di fatto” che avrebbe reso materialmente impossibile il ricorso alla guerra. Sotto questo punto di vista non è certamente un caso che l’Unione Europea abbia ricevuto il premio Nobel per la pace nel 2012. Festeggiare l’Unione Europea non significa dimenticarne i problemi, né tantomeno sottovalutare l’importanza e l’urgenza delle riforme da fare. Significa invece invocarne il ritorno ai principi e ai valori che ispirarono uomini come Schuman, Monnet e De Gasperi.
Niente di più distante da parole come spread, crisi, banche, euro con cui si cerca goffamente di identificare oggi l’esperienza politica della UE. L’integrazione europea è invece condivisione di esperienze, valori e principi comuni, all’interno dei quali ciascuno è libero di esprimere al meglio la propria identità nazionale. L’Europa non ci chiede di accettare il corso degli eventi come una realtà immutabile. Essa è la nostra scelta giornaliera: un “plebiscito quotidiano” attraverso il quale decidiamo di legarci ad essa. Di legarci gli uni agli altri in un destino comune.
Il mio personale augurio è di lasciare da parte per un giorno i facili slogan e le derive demagogiche e guardare all’Unione Europea per quello che davvero è: il più grande e innovativo laboratorio politico esistente. La speranza concreta di lasciare ai nostri figli ed alle generazioni future uno spazio di “libertà, sicurezza e giustizia”.
On. Aldo Patriciello