Non è stato un comizio di quelli che saranno ricordati per l’empatia tra folla e oratori o per la dialettica esagerata; ieri, invece, in Piazza Pepe a Campobasso, per il comizio del ministro Luigi Di Maio, si è respirata concretezza. Il vice premier ha strutturato il suo intervento, non lunghissimo, sul rispetto del programma elettorale; non ha arringato la folla, numerosa ma non oceanica come in passato, ha accusato con moderazione i suoi nemici del momento, ma soprattutto ha parlato di quello già fatto. Reddito e pensioni di cittadinanza, quota 100, decreto dignità, elevazione del minimo salariale, potenziamento dei centri per l’impiego: tutte promesse mantenute che, a suo dire, differenziano l’azione di questo governo dai predecessori.
Da lui abbiamo appreso anche che il premier Giuseppe Conte ha firmato il Contratto di sviluppo che interessa il Molise e che, quindi, i ‘famosi’ 254 progetti potranno prendere forma e sostanza.
Il ministro ha anche avocato a sé punti discussi di recente, come la revoca del mandato al sottosegretario Siri e si è proposto come uomo del popolo contro quelli che finora avrebbero solo alimentato sprechi e privilegi. Ha ostentato sicurezza ed ha chiesto con forza di permettere al partito di fungere da argine, in Europa, rispetto all’alleanza nascosta tra socialdemocratici e popolari per fare chiarezza su vari argomenti e chiamare le altre nazioni al rispetto delle quote sull’accoglienza secondo criteri di equità.
Un intervento asciutto, pieno di numeri e dati, che tutto farebbe prefigurare, tranne la volontà di arrivare ad una crisi di governo.
Fra una settimana arriverà in città Matteo Salvini: sarà quello il momento per capire come realmente stanno le cose in questa alleanza, tanto innovativa quanto fragile.
Stefano Manocchio