Passata la maratona elettorale e terminata l’incredibile esposizione mediatica che ha investito il Molise, vediamo di tracciare un primo bilancio, riservandoci di entrare nello specifico dopo l’analisi dettagliata di tutte le preferenze. Alcuni dati saltano all’occhio: la formula della proliferazione delle liste, messa in atto con conoscenza del territorio dal centro destra, ha pagato e creato un dato rilevante, che forse alla vigilia non avrebbero potuto prevedere gli stessi candidati e che non solo ha arginato il vento pentastellato (va precisato che comunque il Movimento è nettamente primo partito in regione), ma ha messo il presidente Toma in condizione di non vedere mai a rischio la sua elezione, dai primi dati scrutinati fino alla fine, testimoniando fedeltà dell’elettorato, anche verso quelli che negli ultimi anni erano stati dall’altra parte. Intendiamoci: il 38,39% dei Cinque Stelle è un dato che anche solo lo scorso anno nessuno avrebbe potuto prevedere; ma l’importanza data alle regionali molisane aveva fatto presentare il Molise come la prima regione ipoteticamente a guida pentastellata; la delusione, per loro ci sarà stata e nessuno la potrà negare. Il Molise ha scelto di preservare quello che c’era, cambiando però colore politico e la volontà popolare è sacra. Un risultato elettorale così netto va ascritto a merito dei vincitori, che hanno operato sul territorio con presenza assidua e numerosa, ottenendo il risultato sperato, o forse anche di più. Ma le vere novità sono tra gli sconfitti: il PD, che già nelle scorse regionali aveva fatto registrare numeri di gran lunga inferiori rispetto al dato nazionale, non arriva al 10% ( e sui parziali neanche al 9), accreditando una crisi nei numeri, ma anche ideologica, organizzativa e di sistema. Cosa è successo? Partiamo dall’inizio: Paolo di Laura Frattura, pur eletto cinque anni fa trionfalmente, non è mai stato considerato dalla sinistra come proprio appartenente e nel prosieguo di legislatura ha messo in atto comportamenti tali da alimentare continuamente la polemica, anche se in parte dovuti per logica di mantenimento degli equilibri. Ricordiamo che sostanzialmente la sua elezione trovò giustificazione nell’accordo con Rialzati Molise ed Udeur, quindi due partiti che provenivano dal centro destra, come di centro destra era la ‘primogenitura’ dell’architetto campobassano; anche il suo tesseramento con il PD fece storcere il naso a centinaia di adepti di quel partito. Questo fatto e una gestione dell’attività in regione più volte al centro di polemiche e contestazioni hanno creato non pochi danni al PD stesso; ma l’origine del crollo è da individuare nella seconda parte di legislatura, con la rottura tra lo stesso presidente e la cosiddetta asse Ruta- Leva, cioè con i leader politici locali che da più parti erano stati visti come i registi di tutta l’operazione che aveva portato alla sua designazione e, quindi, alla sua elezione. La diatriba tra i due parlamentari di sinistra ed il presidente della Giunta regionale è stata infinita, stancante ed ha logorato il PD e tutta la coalizione. Risultato finale: il centro sinistra ha subito una ‘debacle’ spaventosa alle politiche, Leva non è stato eletto alla Camera dei Deputati, mentre i duellanti Ruta-Frattura non si sono ricandidati, per ordini romani. Poche righe di chiusura su Roberto Ruta: il parlamentare campobassano, finora considerato lo stratega principe del Molise, nell’ultimo periodo le ha sbagliate tutte. Ha tirato la corda fino all’infinito con Frattura, ha fatto ritirare le due candidature alle ‘mini primarie’ uliviste in cambio della sua investitura (ricordiamo i 1300 tesserini rossi sventolanti nella palestra ‘Sturzo’ di Campobasso) per poi ritirarsi. Risultato: Molise 2.0, il partito della ‘lista dei 100’ non ha raggiunto il quoziente minimo d’elezione. Non sappiamo se è la fine di un’era, ma di un’idea certamente.
Stefano Manocchio