“Mentre si celebra la “Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera” rimane ancora sotto tono il “dibattito” sulla cosiddetta “autonomia differenziata” o “regionalismo asimmetrico”, previsto dall’articolo 116, terzo comma della Costituzione. Articolo che consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre su tutte le materie che l’articolo 117 (terzo comma) attribuisce alla competenza legislativa concorrente oltre che per un ulteriore limitato numero di materie riservate dallo stesso articolo 117 (secondo comma) alla competenza legislativa esclusiva dello Stato tra le quali: organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, università, sanità, assetto del territorio, energia, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, lavoro, attività produttive.
L’attribuzione di tali forme rafforzate di autonomia, è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti.
L’introduzione dell’attribuzione di “autonomia differenziata” è avvenuta con la riforma del titolo V della Costituzione.
Il tema del riconoscimento di forme di “autonomia differenziata” si è imposto a seguito delle iniziative intraprese dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
Le prime due Regioni hanno infatti svolto il 22 ottobre 2017, con esito positivo, due referendum consultivi sull’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. La Regione Emilia-Romagna si è invece attivata, su impulso del Presidente della Regione (Bonaccini), con l’approvazione da parte dell’Assemblea regionale, il 3 ottobre 2017, di una risoluzione per l’avvio del procedimento finalizzato alla sottoscrizione dell’intesa con il Governo.
Il 28 febbraio 2018 è seguita la sottoscrizione di un accordo preliminare tra il Governo, presieduto da Gentiloni, rappresentato dal sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa, e le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto. Successivamente, altre regioni hanno avviato, in tale quadro, un confronto con il Governo.
Come al solito, nel teatrino della politica quasi tutti i soggetti che animano la scena dell’odierno dibattito recitano la parte che prima era riservata ai loro “avversari”. Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio e capo di un partito che si chiama Fratelli d’Italia e che ha sempre sostenuto “l’unità nazionale prima di tutto”, nella passata legislatura ha presentato una proposta di legge di modifica costituzionale (atto 1953), insieme all’attuale sottosegretario agli Esteri Edmondo Cirielli, per smantellare il cosiddetto “regionalismo differenziato”. Oggi si appresta ad assecondare quella che è stata definita la “secessione dei ricchi”.
Da parte sua il “centrosinistra”, che porta la grave responsabilità di aver modificato unilateralmente, e con una maggioranza risicatissima, il titolo V della Costituzione nel 2001, che ha fornito alle regioni del nord gli strumenti per disarticolare lo Stato unitario, e di avere sottoscritto la preintesa 2018 con le tre Regioni su materie che vanno dall’istruzione alla salute, dalle politiche del lavoro alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, fino ad un’appendice sui rapporti internazionali e con l’Unione europea, oggi minaccia le barricate e grida allo scandalo. Peraltro la preintesa del 2018 prevede il superamento del meccanismo della cosiddetta spesa storica per i fabbisogni standard per passare alla compartecipazione su più tributi, che in soldoni significa che Io Stato assicura, agli enti locali, solo le spese che attengono ai diritti fondamentali di cittadinanza, mentre per le altre spese la copertura dei fabbisogni finanziari viene affidata in misura maggiore al finanziamento con gli strumenti propri della autonomia tributaria, per le quali si prevede una perequazione delle capacità fiscali, ossia un finanziamento delle funzioni che tiene conto dei livelli di ricchezza differenziati dei territori. Per cui, un territorio che possiede risorse finanziarie garantisce alcuni servizi ai propri cittadini mentre i cittadini di territori che non hanno risorse non avranno gli stessi servizi.
A titolo di esempio: sulla scuola “l’autonomia differenziata” prevede che le Regioni abbiano potere per la definizione delle norme generali sull’istruzione, regionalizzazione degli insegnanti e dei programmi, concorsi regionali, scuole paritarie, fondi integrativi; per quanto riguarda la sanità il potere delle Regioni riguarda la definizione del Sistema Sanitario Regionale, organizzazione offerta ospedaliera e servizi, necessità di personale, ticket, distribuzione ed equivalenza dei farmaci, investimenti infrastrutturali, il tutto con fondi integrativi dedicati.
E’ chiaro che quello dell’autonomia differenziata è un disegno criminogeno, letale per la tenuta dello Stato unitario che oggi celebriamo, per le sorti delle regioni più deboli e del meridione ed in prospettiva anche per quelle del nord. La posta in gioco è enorme, la materia ci riguarda tutti ed è fuori luogo metterla sul tavolo della polemica politica spicciola, come siamo soliti fare.
Proviamo, invece, ad avviare una riflessione vera, troviamo il coraggio, dopo oltre cinquanta anni dalla nascita dei consigli regionali, per fare un bilancio spassionato ed oggettivo della esperienza regionalistica, in Italia e nel Molise. Esperienza che è stata caratterizzata dalla presenza di molte ombre e, forse, qualche lumicino. Se lo facessimo forse arriveremmo alla conclusione che complessivamente questa articolazione istituzionale merita una rivisitazione radicale se non addirittura il superamento della potestà legislativa delle Regioni. Altro che “regionalismo differenziato”!
In un mondo globalizzato, nel quale non c’è addirittura spazio di manovra e di autonomia per gli Stati nazione, e la stessa Europa anche per propria incapacità e responsabilità è un vaso di coccio tra vasi di ferro, diventa quasi surreale un dibattito sulla “autonomia rafforzata di alcune Regioni”. Riusciamo ad immaginare Fontana, Zaia, Bonaccini, e Toma per il Molise, interlocutori alla pari con Biden, Putin, Xi Jinping?
La verità è che ormai le Regioni sono diventate centri di potere, in grado di condizionare o bloccare il Governo ed il Parlamento, ai quali nessun partito intende rinunciare per non mettere in discussione il proprio bacino elettorale.
Per cui ho molti dubbi che questa politica, che ha fatto della occupazione del potere, lo strumento della propria occupazione e l’unica ragione del proprio impegno, trovi il coraggio e la convenienza ad aprire una riflessione seria ed un dibattito aperto e profondo che superi le angustie e le prospettive personalistiche.
Forse è giunto il momento, come cittadini liberi, di agire in prima persona per impedire che si consumi questo crimine. Prima che il Paese affondi. Vale la pena sottolineare che la devoluzione dei poteri è sostanzialmente irreversibile in quanto per tornare indietro e cambiare l’Intesa è necessario il consenso delle Regioni interessate e che queste decisioni non possono essere oggetto di referendum”.
Domenico Di Lisa