“L’allarme sulle terapie intensive pediatriche al Sud – dove tra le sei regioni “scoperte”,
figura anche il Molise – dovrebbe scuotere la coscienza dei politici molisani. Parliamo della
vita dei bambini”. Così Aldo Di Giacomo, presidente Associazione Cultura e Solidarietà in
riferimento alla lettera-denuncia pubblicata sulla rivista “Lancet” per richiamare l’attenzione
sulla condizione che vivono gli ospedali ed in particolare le strutture molisane che
dovrebbero essere riservate alla prevenzione e cura della salute dell’infanzia.
In Italia i posti letto nelle terapie intensive pediatriche sono solo 273, a fronte di 9.788.622 potenziali pazienti da 1 a 18 anni. In pratica, nel nostro Paese c’è un posto letto di terapia intensiva per 35.586 bambini e adolescenti, lontano dall’indicazione europea di un posto letto ogni 20-30mila piccoli. Nella mappa geografica delle intensive per bimbi e adolescenti, si va dai
128 posti letto al Nord, a fronte di un fabbisogno di 222, ai 55 del Sud, dove ne
servirebbero 168, e ai 90 del Centro, sotto solo di 2 posti letto.
Ad alzare la media in Centro Italia sono le 3 terapie intensive pediatriche del Lazio: Gemelli, Bambino Gesù e Umberto I.
Per contro, in Valle D’Aosta, Trentino Alto Adige, Umbria, Molise, Basilicata e Sardegna non
c’è nemmeno un posto letto e se un piccolo paziente arriva in ospedale in condizioni
particolarmente critiche, deve essere immediatamente trasferito in un’altra regione. Una
disperata corsa contro il tempo. La situazione è veramente critica con il risultato che i
bambini molisani non hanno le stesse probabilità di essere curati nella stessa maniera
rispetto ad altre parti del Paese.
La nostra Associazione – dice Di Giacomo – condivide l’allarme lanciato da medici ed esperti: tutto questo, da un punto di vista etico, è riprovevole. Inaccettabile. Cosa ne pensa in proposito la Regione Molise e l’Assessorato alla Sanità?”. Per migliorare la situazione, le soluzioni ci sono e sono indicate dai medici: “l’adeguamento dei posti letto di terapia intensiva pediatrica è un primo passo, preceduto dalla formazione degli anestesisti-rianimatori, soprattutto nelle Regioni che ne sono sprovviste. Ogni Regione deve poi avere una rete che coordini, con criteri centralizzati, il trattamento e il trasferimento dei pazienti pediatrici in condizioni critiche, con centri con competenze e compiti ben precisi, su modello ‘Hub & Spock’ per esempio. E serve una rete nazionale con 3-4 centri d’eccellenza che coordinino emergenze particolari, i casi più rari.
Un centro super specializzato cardiochirurgico o neurochirurgico pediatrico forse non è
necessario in tutte le Regioni, perché sarebbe uno spreco, ma una rete nazionale sì. Al
momento, purtroppo, il sistema non è così perfezionato”.