Assistiamo da mesi a diverse iniziative di Governo e Regioni per contenere la diffusione del Covid19, anche con esiti positivi, ma anche a un continuo dibattito sulla necessità di potenziare la medicina sul territorio per le politiche di prevenzione che però non trova uno sbocco fattivo.
Mancano da molto anni i cosiddetti “medici dei servizi” (esistono spesso solo sulla carta), cioè quei professionisti che si dovrebbero occupare della prevenzione scolastica, delle vaccinazioni, dell’epidemiologia, anche di coordinare i cosiddetti test sierologici, e si scarica invece ancora tutto su ospedali, sul 118 e sul pronto soccorso, le neonate (e spesso improvvisate) Usca e sugli ambulatori dei medici di famiglia».
Questa la denuncia della Federazione Italiana Sindacale Medici Uniti-FISMU che insiste nel contestare questo approccio nella battaglia ancora non vinta contro la pandemia.
Francesco Esposito, segretario generale Fismu critica «la mancanza di un progetto complessivo nella lotta al Covid19 e l’assenza di una urgente e necessaria riorganizzazione della sanità pubblica per evitare nel futuro il ripetersi di situazioni tragiche come quelle che hanno colpito l’Italia (e non solo) a marzo-aprile di questo anno.
Convivere con questo virus – spiega il dirigente Fismu – gestire le prossime ondate, ma anche future epidemie, impone una vera e propria rivoluzione copernicana, non provvedimenti improvvisati come imporre ai medici di famiglia di fare i test sierologici per il Covid19, oltretutto gratis, intasando così gli ambulatori.
I medici di famiglia devono continuare a dare l’assistenza primaria, un servizio di importanza strategica in questa fase, soprattutto per le persone più anziane, con cronicità. Non possono e non devono diventare un laboratorio di test e analisi».
«Infine – conclude Ernesto La Vecchia, segretario regionale FISMU Molise – rivolgendosi al ministro Speranza – la strada è quella del potenziamento reale del territorio, dando linfa vitale alla cosiddetta medicina dei servizi, ora smantellata, e non richiamare dalla pensione i medici per metterli nelle scuole, come qualcuno propone: sarebbe una assurda e ulteriore improvvisazione.
Serve, invece, assumere 10.000 giovani medici, ora precari (a partire da quelli vittime del cosiddetto imbuto formativo, esclusi dalla scuole di specializzazione) e ridare forza alla medicina scolastica, alle campagne di vaccinazione, alla prevenzione e all’epidemiologia (gestione dei test sierologici compresi).
Abbiamo bisogno di una nuova e vitale sanità pubblica. Abbiamo bisogno di una sanità territoriale forte e finanziata».