Ieri è stata celebrata la Festa della Liberazione, una commemorazione che vuole ricordare anche le donne, le quali, se da un lato hanno partecipato attivamente alla guerra, dall’altro hanno visto offuscato questo trionfo del genere femminile dai soprusi subiti, fatti di una violenza non solo fisica, ma ancor più simbolica e psicologica, umiliante, troppo spesso ignorata.
Eppure, dello stupro di guerra si parla quasi sempre come di un comprensibile incidente di percorso: raramente lo si descrive per quel che è, ossia uno strumento di tortura e di sottomissione, un abuso che va al di là della religione, dell’età, della fazione politica. Si tratta, infatti, di una pratica di dominazione psicologica che ha segnato più generazioni e annientato ulteriormente famiglie già di per sé distrutte: basti pensare che nell’unico dibattito in Parlamento sul tema, ben 60.000 donne chiesero un risarcimento, mentre
molte altre probabilmente preferirono tacere per vergogna, e tra gli abusi più denunciati vi furono quelli legati alle truppe coloniali.
In effetti le violenze, sia fisiche sia sessuali, avvenute in prevalenza nel Mezzogiorno vennero chiamate marocchinate in quanto perpetrate principalmente dai militari
provenienti dalle colonie, soprattutto marocchini. Lo racconta per esempio Norman
Lewis nell’opera Napoli ’44: La letteratura e il cinema sono arrivati prima degli storici a toccare un tema difficile ma fondamentale come quello dello stupro di guerra. L’esempio più celebre è La Ciociara di Alberto Moravia, un libro che spiega la seconda guerra mondiale da un punto di vista femminile, quello di una madre e di una figlia, senza censurare gli episodi di violenza e le sue devastanti conseguenze.
Dal romanzo del 1957 è stato poi tratto l’omonimo film di Vittorio de Sica, che valse un meritato Oscar a Sophia Loren. I risvolti della guerra, con le turpi appendici che si
consumano nelle retrovie, son quelli di cui la Storia e, ahimè, qualche rappresentante delle Istituzioni, perde volentieri nozione, confinandoli nel ripostiglio più nascosto e oscuro della memoria.
La vicenda delle donne stuprate dai soldati marocchini agli ordini del generale francese Juin nell’ultima guerra è data quasi per scontata e come collegata alla fatalità della Storia. Non se ne parla volentieri, resta un capitolo ermeticamente chiuso, se ne conoscono soltanto spiragli di dolore. Non si può accettare di dimenticare tutto ciò, ancor di più non è comprensibile addirittura richiamare alla memoria coloro che sono stati gli autori di questi crimini efferati.
Non si può celebrare la donna l’8 marzo o esprimersi contro la violenza sulle donne il 25 novembre per poi offendere, il 25 aprile, la memoria delle migliaia di donne e bambine vittime di stupri atroci. Auspico che questa mia amara e risentita riflessione sia condivisa dagli altri organismi preposti alla tutela dei diritti delle donne e dei minori, affinché coralmente eleviamo la voce chiedendo rispetto verso il dolore che provoca ancora oggi la narrazione di quegli atroci e feroci comportamenti disumani.