La premier Meloni ha sempre dichiarato di voler mettere al centro dell’agenda di Governo
la famiglia e il sostegno alla natalità. C’è da chiedersi per quale motivo il Governo annuncia
alcune cose e poi ne fa altre. Infatti, dopo che la rimodulazione del PNRR messo in campo
dall’attuale maggioranza di Governo ha tagliato 100.000 posti per l’accoglienza dei bambini
negli asili nido, l’ennesima presa in giro alle mamme d’Italia è avvenuta con il cosiddetto
“bonus mamme” introdotto per l’anno 2024 dalla Legge di Bilancio.
La CGIL ha sempre ritenuto che la politica dei bonus non fosse la migliore carta da giocare
per sostenere la natalità. Più che di bonus una tantum e che variano di anno in anno ci
sarebbe bisogno di misure strutturali di sostegno al difficile “lavoro” di genitori e più che di
qualche mancetta ci sarebbe bisogno di aiuti seri, strutturale e consistenti. Invece, quello che
è stato partorito dalla legge di bilancio appare più come una presa in giro alle neo mamme
che come un intervento concreto di politica sociale.
La legge di bilancio 2024, infatti, prevede l’esonero della contribuzione previdenziale
(generalmente 9,19% della retribuzione), fino a un massimo di 3.000 euro annui da
riparametrare su base mensile (dunque per un massimo euro 250 mensili), per le lavoratrici
che hanno almeno tre figli. Per il solo 2024, in via sperimentale, il bonus è attribuito anche
in presenza di due figli fino al mese del compimento del decimo anno di età del figlio più
piccolo. Nel 2025 e nel 2026, invece, il beneficio è assegnato dalla nascita del terzo figlio e
si conclude con il compimento del diciottesimo anno dell’ultimo figlio. L’agevolazione
riguarda tutte le dipendenti del settore pubblico e privato (anche agricolo, in
somministrazione e in apprendistato) con contratto a tempo indeterminato. Sono escluse,
invece, le lavoratrici domestiche. Dobbiamo innanzitutto considerare che da tale
agevolazione sono escluse tutte le lavoratrici precarie e quelle autonome ( ovvero le
lavoratrici assunte prevalentemente con contratti a tempo determinato). Una scelta
totalmente insensata se pensiamo che proprio le lavoratrici più fragili dovrebbero ottenere
maggiori tutele. Una seconda considerazione va espressa sullo strumento utilizzato per la
corresponsione del bonus che consistendo in un esonero dei contributi previdenziali fa sì
che all’aumentare del reddito della lavoratrice aumenti l’importo del sostegno. Invero la
misura dovrebbe operare al contrario ed aiutare le mamme con redditi più bassi.
Ma la vera beffa del Governo è rappresentata dal fatto che le mamme che decideranno di
richiedere il bonus perderanno l’agevolazione accordata alla generalità dei lavoratori
dipendenti relativa all’esonero sulla quota dei contributi previdenziali per l’Invalidità, la
Vecchiaia e i Superstiti (quota IVS) a carico del lavoratore (cosiddetto taglio del cuneo
contributivo). Dunque la scelta del bonus mamma fa perdere l’analogo taglio contributivo
già percepito. In particolare l’esonero dei contributi IVS agisce nella misura del 7% fino ad
un reddito mensile massimo di €.1.923 e 6% fino a 2.692€. In altre parole, ad usufruire in
maniera piena del bonus mamme saranno soltanto le lavoratrici che percepiscono un reddito
mensile superiore ad euro 2.692 mensili.
Per poter accedere al bonus mamme le lavoratrici devono comunicare al datore di lavoro la
volontà di avvalersi dell’esonero in argomento, secondo i calcoli della CGIL lo sgravio
dovrebbe interessare solo il 6% delle lavoratrici. Una platea volutamente ridotta, che non
considera le lavoratrici con un solo figlio persino nei casi in cui questo sia affetto da
disabilità. Paradossalmente del bonus mamme beneficeranno nella sua totalità le lavoratrici
con stipendi medio alti. Le donne a basso reddito, usufruiranno di tale bonus in misura
irrisoria. Più volte abbiamo espresso un giudizio critico sulla misura che, ancora una volta,
segue la logica del bonus, e che conferma l’incapacità di mettere in campo un intervento
ampio e strutturato nel tempo che affronti con serietà ed efficacia i problemi del divario
retributivo di genere e del calo della natalità. Le scelte compiute dal Governo in tema di
lavoro continuano ad essere condizionate negativamente da coperture limitate e
insufficienti. Una serie di provvedimenti tutti nel segno dell’attivazione della sola leva
economica e tutti con caratteristiche che, lungi dall’essere strutturali, ci riportano invece
indietro alla stagione dei bonus che l’assegno unico e universale per i figli aveva tentato di
smantellare nell’intento di offrire alle famiglie strumenti di carattere non temporaneo e tanto
più consistenti quanto peggiore fosse la condizione economica del nucleo familiare.
Nonostante l’anno che si è da poco concluso sia stato caratterizzato da un incessante refrain
governativo sul tema della denatalità, il governo nei fatti non fa nulla per affrontare
seriamente la questione. A cominciare dal combattere il lavoro precario che riguarda
prevalentemente le donne e investire in servizi pubblici per l’infanzia.
Ben altre sarebbero le misure che dovrebbero essere messe in campo per consentire alle
nuove generazioni la possibilità di progettare serenamente il futuro.
Paolo De Socio
Segretario Generale – CGIL MOLISE
Alessandra Tersigni
Segretaria Politiche di Genere – CGIL ABRUZZO MOLISE
Sabrina Del Pozzo
Segretaria CGIL Molise