Se lo scossone che gli elettori hanno inferto al sistema politico il 4 marzo era prevedibile, non altrettanto prevedibili erano, però , le proporzioni, tali da non lasciar dubbio sulla generalizzata volontà degli italiani di manifestare un complessivo dissenso e di volere un deciso cambio di rotta.
In questo generale contesto è il centrosinistra in particolare che ne esce devastato con un PD ridotto al minimo storico (soli 6 milioni di voti contro i 13 milioni circa del 2014) e con le altre formazioni minori a lui collegate, di fatto espunte dal panorama politico nazionale.
Sebbene con le attenuanti connesse alla novità del simbolo ed alla delicata fusione di più componenti politiche, non esalta nemmeno il dato raccolto da “Liberi e Uguali” (poco al di sopra del 3% e circa 1 milione e 100 mila elettori).
Di fronte a questo quadro non si può balbettare o peggio ancora utilizzare metodi di valutazione e di analisi superati e desueti.
Il 4 marzo l’Italia ha deciso di uscire, dopo oltre un ventennio, dalla palude di una seconda Repubblica che di fatto ha sostituito al precedente sistema dei Partiti, sterili logiche autoreferenziali; incapacità di comprendere le diffuse esigenze di un Paese fiaccato da una lunga e progressiva recessione economica; che non ha saputo interpretare politiche di difesa dei diritti delle classi meno agiate, che anzi ha ridotto servizi e tutele.
Anche il sonnolento Molise non ha fatto eccezione, anzi ha mostrato una determinazione non comune espressa in proporzioni inequivocabili.
Il centrosinistra nel suo complesso raccoglie solo il 22%; quello di Governo poco più del 17,5 %.
La imminenza del secondo appuntamento elettorale, quello regionale del 22 aprile, impone un riflessione seria ed inequivoca: o si ritrovano le motivazioni di unità sui valori storici della sinistra democratica o si corre divisi verso una probabile seconda sconfitta dalle conseguenze inimmaginabili.
Ma l’unità della coalizione non può prescindere da due fondamentali pregiudiziali per riacquisire credibilità e rispetto:
– la prima, costituita da una necessaria, forte discontinuità della linea politica attuata in questi anni e da tutti i suoi interpreti;
– la seconda dalla ripresa dei valori di solidarietà, di rispetto delle Istituzioni, di attenzione e di ascolto.
Una politica improntata ai valori della Giustizia sociale, dello Stato di diritto, della uguaglianza, dell’europeismo maturo, della dignità e della libertà. L’impegno sui temi del lavoro, della lotta al precariato, della tutela dei diritti di tutti.
E’ questo il nuovo modo di essere, anche di comunicare per costruire un nuovo centrosinistra. Tutto questo è ancora possibile.
L’ultimo disperato tentativo va messo in campo senza ulteriori indugi.
Diceva il grande Pietro Nenni: Rinnovarsi o perire.
Oreste Campopiano
già candidato Camera dei Deputati
“Liberi e Uguali”