Il mondo sta cambiando ma c’è chi si ostina nelle brutte abitudini. Creando grandi casini, rabbia e delusione. Uno spaccato di molisecafone riguarda i corsi per giovani disoccupati. Sembrerebbe, e numerose segnalazioni sono arrivate in tal senso, che perfino per partecipare a questi corsi ci voglia la raccomandazione. Anche perché la loro frequenza, oltre a rilasciare un attestato valido sul mercato del lavoro, fornisce anche una indennità di frequenza, di qualche euro all’ora. E di questi tempi anche una mancia per un popolo devastato dalla disoccupazione è qualcosa. E succede allora, molto tristemente, che solo i raccomandati, o soprattutto i raccomandati, possano accedere ad opportunità che lo Stato e la Regione pagano con i soldi dei contribuenti. Le selezioni per questi corsi, infatti, pur essendo a tutti gli effetti esami pubblici, sono demandate dalla legge (e dalla prassi, aggiungiamo noi) agli enti o alle organizzazioni che si sono aggiudicati la commessa . In pratica questi enti fanno quello che gli pare, rispettando solo alcuni parametri formali. E allora può succedere che o sei laureto con master o sei diplomato alla scuola serale o all’istituto di recupero anni scolastici è la stessissima cosa. Può succedere anche che vengano ammessi parenti e amici di chi sta nella commissione perché tanto al compito “c’pens’i!”, senza nemmeno una correzione collegiale. Può succedere che la commissione di valutazione sia fatta anche da persone che non sanno nulla di quello che è l’oggetto del corso ma lavorano lì o sono consulenti a libro paga di quell’ente o organizzazione.
Insomma il terreno più fertile perché la piaga della raccomandazione attecchisca. Peccato però che questo mondo stia finendo e la gente sia stufa. E voglia ribellarsi a questo stato di cose, ingiusto e violento specie nei confronti dei giovani. Intanto gli enti finanziatori (Regione, Sato, Unione Europea e chi ne ha più ne metta) farebbero bene, da subito a chiedere commissioni di nomina pubblica e terze rispetto a chi organizza il corso. Sarebbe già un primo importante segnale, verso un molise meno cafone ed un pochino più civile.