Stefano Bollani: la musica deve esser vissuta senza steccati

bollanialpianoIntervista al noto pianista che terrà un concerto il 28 gennaio al Savoia.

Grazie alla collaborazione dell’ufficio stampa dell’Uli, nella persona della collega Marialaura Bonaccio, siamo riusciti a raggiungere telefonicamente Stefano Bollani che il prossimo martedì si esibirà al Teatro Savoia con il suo spettacolo “Piano Solo”. Artista che non necessità di presentazioni, Bollani è balzato agli onori delle cronache grazie alla sua rara capacità di rendere fruibile ad un grande pubblico generi musicali ritenuti “complessi” come la musica classica oppure il jazz.

Un excursus artistico, il suo, che lo ha visto collaborare con i grandi della musica contemporanea, produrre album ed esibirsi nei tempi della musica di tutto il mondo. Il tutto, poi, coronato dal programma Tv “Sostiene Bollani” andato in onda su Rai tre e che con il suo successo in termini di ascolti ha consacrato Bollani all’attenzione del grande pubblico.
E proprio da qui che è partita la piacevole chiacchierata, dove alla domanda sulla opportunità di contaminare dei generi come la classica ed il jazz, per rendere fruibile ai più uno spettacolo,  il noto pianista ha risposto “Non esistono generi classici o contemporanei. La musica va vista e vissuta nel momento in cui appunto la si vive. Secoli fa quella che per noi è musica classica era contemporanea. Oggi il jazz ed altri generi lo sono, ma immaginiamo di ascoltarli tra decenni. Il classico è diventato classico e così varrà sempre. Appunto per questo non poniamo steccati predefiniti alla musica. Facciamo in modo che la si possa attraversare e apprezzare senza preclusioni ed inutili differenziazioni. Parliamo di generi quando dobbiamo distinguere delle caratteristiche, ma evitiamo che tali considerazioni pongano in essere ostacoli alla conoscenza globale della Musica”.
Bollani, lei ormai rappresenta un’icona della musica italiana in patria ed all’estero. Quando ha capito che quella sarebbe stata la sua strada? Esiste un aneddoto oppure un artista che la invogliarono a iniziare una simile attività?
“Di aneddoti ne esistono migliaia, sui musicisti del passato però, uno in particolare mi ha condizionato. Ascoltando Renato Carosone capii che avevo trovato in lui un riferimento, un punto di partenza, un qualcosa che amavo. Artista unico, completo ed eclettico che suonava, cantava e faceva divertire, condendo il tutto con estrema tecnica ed abilità. Questo faceva Carosone e per alcuni aspetti piace fare anche a me. Far divertire prima di tutto, altrimenti da un ascolto sterile e non partecipato non potrà mai far scoccare la scintilla che porta alla passione. E ciò non accade se io per primo non mi diverto a suonare per il pubblico. Il feeling nasce proprio da questo, da quello spirito di gioia che si condivide durante un concerto.”
Lei ormai viaggia in Italia in lungo ed in largo. Vivendo tante realtà ed ascoltando tanti colleghi, che momento percepisce che la musica jazz attraversa oggi nel nostro Paese?
“Rispetto a qualche anno fa, sicuramente questo genere è diventato più conosciuto e più apprezzato, anche grazie ad un abbassamento dell’età degli ascoltatori. Quando avevo 15 anni ed ascoltavo musicisti jazz, facevo fatica a condividere tale passione con i miei coetanei. Oggi invece vedo con piacere che già da ragazzi ci si avvicina a questa attività e ci si dedica con studio e dedizione. Naturalmente anche l’avvento delle tecnologie ha fatto la sua parte, permettendo di vedere su internet video e conoscere autori.”
Una moda, forse?
“Onestamente più che di moda parlerei di tendenza. La possibilità di godere di contenuti multimediali facilmente, di poter vedere concerti o programmi tv, apre delle frontiere che vengono percepite a seconda del momento in cui si vivono. Oggi, grazie ai mezzi di diffusione, il jazz sta ottenendo riscontri positivi e se proprio si deve attribuire alla moda questo risultato, ben venga anche la moda.”
Suonare da solo, perché?
“Perché non devo avere vincoli. Nonostante lavori frequentemente con gruppi ed altri musicisti, quando posso, preferisco suonare da solo su un palco e condividere con il pubblico ciò che in quell’istante mi sento di eseguire. Tanta improvvisazione, cercando di capire in quel momento cosa è meglio fare. Poi, quando ciò accade in un teatro, assume un valore ancora più alto.”
Domanda di cartello, il Molise questo sconosciuto?
Non proprio. Nel 1997 suonai un locale a Campobasso, in occasione di un concerto di Charlie Wood. Da li però, nessun altro impegno nella vostra regione.”
Cosa si devono aspettare gli oltre 500 che hanno bruciato la prevendita del concerto in due ore?
“Non lo so. Io arrivo e suono di solito. Come dicevo, in questo tipo di concerto mi lascio trasportare dalle sensazioni che percepisco e dalle vibrazioni che emettono gli spettatori. Sarà comunque uno spaccato piacevole in cui ci sarà dialogo, oltre la musica e spero che piacerà a chi sarà della serata.”
Parlare con Bollani a telefono per circa venti minuti è stata un’esperienza simpatica oltre che interessante, considerata l’attenzione che ha mostrato riguardo alla vicenda che interessa le sorti del Teatro Savoia e su quelli che potrebbero essere i  possibili risvolti futuri della struttura.
Segno di grande sensibilità da parte di un professionista che in Italia e non solo si è attestato tra i migliori pianisti contemporanei ma che a differenza di altri colleghi, altrettanto elevati,  è riuscito ad entrare nelle case e nelle simpatie degli italiani grazie alla sua competenza, goliardia e spontaneità.
Marco Amicone

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