La banca aggiorna il piano industriale dopo l’incorporazione dei tre istituti mandati in risoluzione alla fine del 2015 e acquistati per un euro simbolico: previste le chiusure di 140 filiali e l’uscita di quasi 1.600 risorse www.repubblica.it
Ubi Banca prevede di tagliare di circa un terzo il personale delle tre good bank acquistate definitivamente ieri per la cifra simbolica di un euro: entro il 2020 la banca vuole ridurre di circa 200 milioni gli oneri operativi di Banca Marche, Banca Etruria e Carichieti attraverso una contrazione dell’organico di 1.569 risorse (-32% rispetto al 2016), il taglio di 140 filiali e l’ottimizzazione delle altre spese amministrative.
E’ quanto emerge dall’aggiornamento del piano industriale al 2020 di Ubi Banca, presentato oggi insieme ai conti del primo trimestre. Un insieme di informazioni che piace al mercato, che acquista a piene mani l’azione (segui il titolo in diretta).
I tre istituti in questione sono quelli mandati in risoluzione alla fine del 2015, insieme alla Cariferrara che andrà a Bper, e dai quali sono scaturiti gli strascichi polemici di questi giorni legati al presunto ruolo di Maria Elena Boschi nel tentativo di far salvare a Unicredit l’istituto (Etruria) nel quale era coinvolto il padre come manager. A un anno e mezzo dalla complessa e contestata operazione (che ha portato alla nota perdita di denaro da parte dei risparmiatori/obbligazionisti, per i quali si è corsi ai ripari attraverso il ristoro forfettario o arbitrale), la cessione delle prime tre good bank è finalmente andata in porto, per la quarta dovrebbe essere questione di giorni.
Le tre banche sono state ripulite dai crediti in sofferenza e ricapitalizzate e il numero uno di Ubi, Victor Massiah, se le è potute aggiudicare per la cifra simbolica di un euro. Nell’operazione ha anche incamerato un significativo cuscinetto di denari per le attività fiscali relative alle perdite pregresse che le banche salvate si portano dietro (per ora sono iscritti a bilancio benefici per 550 milioni). Roberto Nicastro, che delle good bank ha gestito la transizione, ha parlato di un esperimento da “cavie” in Europa, ma “le banche ne sono uscite vive”.
Un conto salato è stato intanto pagato dal sistema bancario che, per aver salvato nel novembre del 2015 le quattro good bank, si è fatto carico di un costo vicino ai 5 miliardi (anche se le somme si potranno tirare solo dopo lo smaltimento dei crediti deteriorati affidati a Rev, il veicolo in cui nel 2015 sono confluiti 10,3 miliardi di sofferenze delle good bank). A operare, sotto la guida di Bankitalia, è stato il Fondo di risoluzione, mentre un ruolo decisivo – acquistando ben 2,2 miliardi di crediti in sofferenza – l’ha giocato il fondo Atlante.