Suu-Kyi rompe il silenzio: “Desolata, garantire il rientro dei profughi Rohingya”

Messaggio alla nazione della Nobel sotto la pressione internazionale. Condanna le violazioni in Myanmar ma aggiunge: “Non temo la scrutinio internazionale sulla gestione della crisi”. Ma Amnesty international: “Lei pratica la politica degli struzzi”

di RAIMONDO BULTRINI  www.repubblica.it

“Sono profondamente addolorata e preoccupata” per il “gran numero di musulmani che fuggono in Bangladesh”, e “condanno tutte le violazioni dei diritti umani che potrebbero aver esacerbato la crisi”. La Nobel della Pace e leader birmana Aug San Suu Kyi ha parlato per la prima volta pubblicamente con un discorso scritto trasmesso “live” dalla nuova capitale Nayipydaw sulla rete MRTV dei militari, all’indomani delle accuse delle Nazioni Unite al suo governo di non aver evitato le persecuzioni contro l’enia islamica Rohingya nello stato dell’Arakan, o Rakhine. Un discorso che non ha affatto convinto Amnesty international: “Lei pratica la politica degli struzzi”.

Rivolgendosi direttamente ai diplomatici stranieri invitati a verificare di persona la situazione, ha detto di continuare a credere fermamente nei principi costitutivi dell’Assemblea delle Nazioni, e ha anche promesso un’indagine per “conoscere non solo i motivi di quanti sono fuggiti, ma anche di coloro che sono rimasti”, una “gran parte – ha detto – della popolazione musulmana dell’Arakan”. “Non intendiamo prendercela con altri – ha aggiunto – o negare responsabilità”. Sulla base delle leggi vigenti intende punire “ogni eventuale responsabile di abusi che potrebbero aver esacerbato la crisi” con oltre 400mila esuli nelle sole ultime settimane, per un totale di oltre 800mila da meno di un anno a questa parte.

Suu Kyi si è anche detta pronta a riaccogliere quanti hanno diritto di cittadinanza, precisando però che si baserà sui parametri “stabiliti nel 1993”, ovvero durante il regime dei militari, principali responsabili di quella che il segretario generale delle Nazioni Unite ha definito senza mezzi termini una “pulizia etnica”.

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