L’azzurra fuori dal podio per 20 centesimi: «Non so cosa mi è successo, mi sembra di vivere un piccolo incubo». Seconda la svedese Sarah Sjostrom
di Alessandro Pasini, inviato a Rio de Janeiro www.corriere.it
È mancata l’ultima vasca, è mancata la medaglia, mancano le spiegazioni. All’Estadio Aquatico, appena chiusa questa gara implosa e triste, resta solo una sensazione amara: non era Federica quella che è finita ai piedi del podio nel suo ultimo 200 olimpico e forse, chissà, di una carriera. L’oro e l’argento, secondo previsioni, se li sono presi Katie Ledecky e Sarah Sjostrom: troppo forte la predestinata americana, troppo in forma la svedese. Ma è quel bronzo che ci chiediamo come mai adesso sia al collo di Emma McKeon e non di Federica Pellegrini, e a caldo se lo chiede anche lei, più stupita che triste per il quarto posto: «Non me lo so spiegare, è tutto molto strano, ho sentito una stanchezza incomprensibile. Mi sembra di vivere un incubo». La fatica improvvisa, cattiva e fatale, è l’unico dato certo di questa misteriosa notte carioca: nella quarta vasca, quella su cui la regina ha costruito la sua leggenda – quel copyright tecnico e tattico che prevede prima l’attesa, poi la rimonta, infine l’esplosione vincente – Fede si è sciolta. Eppure non sembravano esserci le condizioni per un flop. Era partita indietro, sì, ma solo nelle posizioni: ottava ai 50 e settima ai 100. I tempi però erano in linea con quelli del Settecolli di giugno, quando aveva stabilito il suo record personale in tessuto con 1’54”55. Ed era in linea anche ai 150 quando, risalita quinta, era appena 8 centesimi più lenta di quella gara romana. Ecco perché, dopo la virata, tutti abbiamo pensato: adesso Fede fa Fede. E invece no. La 19enne cinese Shen è riuscita a risucchiarla, la McKeon no: da lei all’ultima virata aveva 67 centesimi di distacco, ne ha recuperati solo 41. La rimonta, insomma, è fallita, e Federica ha perso due volte: perché alla fine il copione tattico era ideale per lei e perché per il bronzo, maledizione, «sarebbero bastati appena due decimi meno».
Ora ci si potrebbe consolare ricordando che mitica carriera resta comunque questa, che fra mille titoli e record (quello mondiale dei 200, per inciso, resta saldo anche stavolta) vanta anche un oro e un argento olimpici. Ma vedendo la faccia di Federica nel backstage si capisce che niente può consolarla: «Ero proprio morta nell’ultimo 50 e non riesco proprio a spiegarmelo. E pensare che l’1’55”4 in semifinale mi era sembrato molto facile. Tutto questo è molto strano, non mi era mai successo prima. Io ho dato tutto e onestamente mi spiace: era una medaglia fattibilissima».
Lo pensavamo tutti, in verità, perché era stata una grande stagione. Federica volava, e anche gli ultimi segnali dagli allenamenti nel collegiale di Santos e nei giorni a Rio erano confortanti. La frazione lanciata da 53”16 nella 4×100 stile e i due turni di avvicinamento alla finale avevano consolidato le vibrazioni positive. Invece niente. E così, là dove sorge il mistero, compare la classica ipotesi, plausibile. E se fosse stata la tensione? Federica lo esclude: «No, anzi. Io sapevo più o meno di potermela giocare molto tranquillamente. Certo, non pretendevo di vincere, però di lottare per il terzo posto sì». Non le piace questa insinuazione, ripete «sono grande, conosco me stessa», e poi esce dai gangheri: «Se a 28 anni devo ancora rispondere a domande del genere do un cazzotto a tutti». E se ne va. È la zampata della tigre, ma purtroppo arriva in ritardo, quando ormai i Giochi sono fatti.