Il ministero dell’Interno parla di una “banda specializzata in sequestri di stranieri”, che operava con divise della polizia. In casa loro “ritrovato il portafoglio” del ricercatore, e spunta una foto con i documenti di identità, carte di credito, effetti personali. Dubbi degli inquirenti italiani da www.repubblica.it
Sul caso Regeni l’Egitto rilancia la pista della criminalità comune. Una “fonte della sicurezza” citata dal quotidiano ‘El Watan’, ha affermato che i componenti della banda di sequestratori uccisi al Cairo “sarebbero legati all’omicidio” di Regeni. La fonte ha precisato che gli uccisi sono cinque e provengono dal governatorato di Sharqiyya (delta del Nilo) e da Shubra El-Khema, a nord del Cairo.Il ministero dell’Interno del Cairo, a sostegno di questa tesi, afferma che il portafoglio di Giulio Regeni con i suoi documenti è stato trovato in una sacca di pelle rossa in un appartamento legato alle persone uccise. I documenti – il passaporto, la tessera dell’università di Cambridge, quella dell’American University al Cairo, le carte di credito – sono stati fotografati poggiati su u piatto d’argento e diffusi sulla pagina Facebook del ministero degli Interni egiziano insieme al comunicato degli arresti.
I quattro uomini uccisi farebbero parte di una banda specializzata nel rapimento di stranieri e che il gruppo agiva “utilizzando divise della polizia”. “Al momento dell’arresto c’è stato uno scontro a fuoco con la polizia che ha portato alla morte di 5 componenti della banda”. Gli investigatori italiani presenti in Egitto sono stati informati dalla polizia egiziana dell’uccisione dei membri della banda ma al termine dell’incontro hanno espresso forti dubbi sulla veridicità di questa versione e attendono l’esito di ulteriori indagini. Gli interrogativi che possono sorgere sono molti: ad esempio, perché se lo scopo del rapimento fosse un furto il giovane è stato seviziato per dieci giorni? E ancora, perché conservarne in casa i documenti di identità?
I pm di piazzale Clodio attendono ora comunicazioni ufficiali da parte della magistratura del Cairo in base anche alla collaborazione suggellata con l’incontro di una settimana fa tra il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il procuratore generale della Repubblica araba d’Egitto, Nabil Ahmed Sadek.