Lo Sblocca Italia ha reso “strategica” la costruzione di nuovi impianti, togliendo potere alle Regioni e velocizzando i tempi. Per non rischiare di rimettere mano al progetto, il dicastero guidato da Galletti vuole evitare studi più approfonditi. Sostenendo che non serve. Perché non si possono stimare gli effetti della combustione del 30 per cento di spazzatura in più.
di Paolo Fantauzzi www.espresso.repubblica.it
Un progetto che prevede di bruciare 2 milioni di tonnellate di rifiuti aggiuntivi in un anno, ovvero quasi il 30 per cento in più di adesso, “non incide direttamente sulle componenti ambientali”. E non è possibile sapere se comporterà “il superamento dei livelli di qualità” dell’aria. Nero su bianco, è la singolare osservazione contenuta nel Rapporto preliminare al Piano nazionale inceneritori che il ministero dell’Ambiente ha presentato nei giorni scorsi, e che prevede di realizzare almeno otto nuovi impianti (destinati a salire ulteriormente, come si vedrà).
Con un obiettivo che, anche a non voler pensar male, sembra chiaro: evitare di sottoporre il documento a una Valutazione ambientale strategica (Vas), una più ampia e approfondita analisi che richiederebbe uno studio più dettagliato e, soprattutto, di essere sottoposto per 60 giorni alle osservazioni di associazioni, comitati di cittadini ed enti locali. Incluse le Regioni, che avendo le competenza in tema di rifiuti spesso hanno alzato le barricate, mentre d’ora poi non potranno che “conformarsi al programma” deciso dall’esecutivo e “provvedere alla localizzazione sul territorio delle nuove infrastrutture”. Cioè senza poter battere ciglio o quasi.
Mentre tutta Europa vira verso la raccolta differenziata, a fine 2014 col decreto Sblocca Italia il governo Renzi ha promosso gli inceneritori a “insediamenti strategici di preminente interesse nazionale”: una formulazione che vuol dire zero voce in capitolo (o quasi) per le amministrazioni locali, tempi dimezzati per gli espropri, concessioni più rapide, fondi ad hoc e via dicendo. Esattamente la stessa filosofia seguita, tre articoli di legge più giù, per l’estrazione e lo stoccaggio di idrocarburi, che non a caso aveva portato a inserire nelle pieghe del provvedimento l’ormai celebre “emendamento Tempa rossa” (poi ritirato e inserito nella Stabilità un anno dopo ) che ha portato alle dimissioni del ministro Federica Guidi.Per raggiungere l’autosufficienza secondo il governo l’Italia deve bruciare annualmente un altro milione e 800 mila tonnellate di rifiuti (il 27 per cento in più) e servono quindi 8 nuovi inceneritori rispetto ai 40 già in funzione e ai 6 ancora in costruzione. Tutti da dislocare al centro e al Sud, dato che il Nord già copre il suo fabbisogno. L’esecutivo ha deciso anche dove dovranno sorgere: Umbria, Marche, Lazio, Campania, Abruzzo, Puglia, Sardegna e due in Sicilia (che però vorrebbe realizzarne sei di dimensioni minori, portando così a 12 il numero complessivo degli impianti).
Ma ecco qui quella che appare come un’autentica trovata: siccome saranno le singole Regioni a decidere dove costruirli, secondo il Rapporto preliminare del ministero dell’Ambiente non si può stabilire quanto il Piano “incida direttamente sulle componenti ambientali”. E “non possono essere puntualmente determinati e calcolati effetti significativi sull’ambiente”, a cominciare dal “superamento dei livelli di qualità ambientale”. Tutti elementi, per il dicastero guidato da Gian Luca Galletti, che potranno essere valutati solo una volta che le Regioni avranno deciso dove realizzare con precisione gli inceneritori. Quindi per ora non serve nessun ulteriore approfondimento. Come dire: intanto andiamo avanti, poi se ne parla.
Di fatto, si tratta di una mezza verità: perché se è vero che non si può stabilire l’impatto in uno specifico territorio, bruciare un terzo di rifiuti in più qualche ricaduta ambientale la avrà pure. E, se non altro a livello aggregato, qualche stima è possibile realizzarla.