Virginia Piccolillo www.corriere.itKetty, la fidanzata, lo ha visto morire. Ora è sotto choc. A un’amica che era con lei venerdì notte al Mirò ripete: «Era la prima volta che Emanuele prendeva la macchina del padre. Ci teneva così tanto. Era tornato dal lavoro, aveva fatto la doccia ed eravamo andati in discoteca. Volevamo solo passare un venerdì sera con la musica e gli amici. Perché è successo? Cosa è successo? Perché l’hanno ammazzato? Perché non li hanno fermati?». Tecchiena, il paese di Emanuele, è minuscolo. La piazzetta dove, attoniti, gli amici lo piangono, è poco più di un parcheggio. Ma il dolore è enorme. I suoi amici ce l’hanno ancora davanti agli occhi quel viso «che non si riconosceva dalle botte che gli avevano dato. Forse l’hanno massacrato in 30, e uno solo lo ha difeso», dicono inferociti.«C’ero. Ho visto tutto. L’ho visto ammazzare e per tutta la vita avrò il rimorso di non essere riuscita a fare niente». È una ragazzina semplice, con le mani nascoste nelle maniche del maglione e i capelli raccolti, la testimone ascoltata per ore dai carabinieri di Alatri. Lei sa bene com’è andata. È rabbiosa contro i tg che hanno parlato di Emanuele «come una testa calda che quasi quasi se l’è cercata: ma come si fa a dire una cosa così? Stava solo passando una serata con gli amici e la sua ragazza. Non aveva fatto niente». La giovane non sa il nome dell’albanese che si è avvicinato per fare apprezzamenti a Ketty. Ma sia lei, sia il gruppetto di amici, che con gli occhi lucidi e la testa bassa non si danno pace, denunciano: «È stato l’unico a non essere stato nemmeno sentito dai carabinieri. Non sanno nemmeno dove sia, se n’è già andato». E la rissa? «Ma quale rissa? Non c’è stata una rissa, era lui da solo. È stato preso dai buttafuori, ma non lo hanno buttato fuori. L’hanno rincorso».
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