Sono trascorsi 71 anni da quel tragico X Settembre 1943. In questi anni si è detto e scritto molto sui bombardamenti subìti da Isernia, e oggi, a fatica, la verità emerge dal passato. È stato recentemente sostenuto, infatti, che nella nostra città, coloro che perirono a causa delle bombe furono alcune centinaia, non già alcune migliaia, come per tanto tempo è stato riportato. Tuttavia meno morti non significa meno lutto o meno dolore; troppe sono comunque state le vite spezzate. Ho riflettuto più volte sulla tragedia “isernina”, dei bombardamenti del 1943, ma, ho altresì considerato come la medesima sorte sia toccata ad altre località italiane. Analogo destino coinvolse tutta la nostra Patria. Nella notte fra il 7 e l’8 agosto del 1943, su Torino e Genova, dagli aerei anglo-americani si riversarono circa 400 tonnellate di bombe.
L’11 agosto toccò a Terni dove, sotto le macerie, finirono centinaia di civili. Il più feroce attacco fu certamente quello di Milano, nella notte del 12 agosto: 504 bombardieri inglesi rovesciarono sulla città 1.252 tonnellate di ordigni e spezzoni incendiari. Il 13 agosto, anche Roma venne colpita e vi furono oltre duemila morti. Poi fu la volta di Taranto, Cosenza, Novara, Foggia, Salerno, Crotone, Viterbo, Avellino, Lecce, Bari, Cagliari, Benevento. Il 1° settembre venne distrutta Pescara, che era completamente priva di difesa antiaerea. Il 10 dello stesso mese – come tragicamente sappiamo – iniziarono anche i bombardamenti su Isernia. In Italia, negli ultimi tre mesi del 1943 le incursioni aeree anglo-americane provocarono 6.500 morti e circa 11.000 feriti, abbattendo o danneggiando un numero incalcolabile di edifici. Un unico destino di distruzione e morte coinvolse l’intera nazione. Questo fortifica e ravviva il ricordo, perché nessuno dimentichi gli orrori della guerra; perché ogni Isernino si senta partecipe del dolore che colpì le popolazioni di altre città italiane. Il bombardamento di Isernia, è il tragico emblema d’una devastazione nazionale e mondiale. Siamo qui per fare memoria e rendere omaggio ai caduti. Perché il loro sacrificio non sia vano bisogna fare della cultura della pace l’obiettivo primario nell’educazione e nella formazione dei giovani; sensibilizzando le nuove generazioni all’impegno per la difesa del bene della vita e delle relazioni tra gli uomini, contro ogni logica di violenza e di morte.
Il grido di S. Giovanni Paolo II: «Mai più la guerra», scuota il cuore dei governanti della terra per orientarli verso la soluzione pacifica dei conflitti in atto.
Luigi Brasiello