Tra il ‘43 e il ‘45, l’insurrezione partigiana aveva rovesciato il fascismo. Resistenza partigiana e sollevazione operaia nelle fabbriche posero concretamente la possibilità di una rivoluzione socialista in Italia. La “rossa primavera” delle canzoni partigiane esprimeva la volontà di farla finita non solo con la feroce occupazione nazista, ma con le classi dominanti che si erano servite del regime criminale fascista. Anche tra le masse molisane era iniziata a diffondersi quella coscienza.
Ma la Resistenza fu tradita dalla spartizione tra gli imperialismi occidentali e la burocrazia stalinista. Così, se ad Est v’era la rivoluzione tradita e distrutta da Stalin, in Italia, la svolta togliattiana-stalinista di Salerno, di governo con monarchici e DC, disarmò e discriminò i partigiani, ripristinò i vecchi prefetti fascisti, restituì le fabbriche e i latifondi a industriali ed agrari, gli stessi che avevano foraggiato la barbarie nazifascista insieme ai banchieri. L’amnistia per gli aguzzini fascisti firmata dal ministro Togliatti completò il quadro.
Come disse Piero Calamandrei, con la Costituzione si scambiò “una rivoluzione promessa con una rivoluzione mancata”: tanti principi solenni di giustizia sociale per mascherare e abbellire la continuità dello sfruttamento capitalista. E dentro la falsa democrazia borghese del dopoguerra continuarono le dure repressioni: gli spari della polizia contro i cortei dei lavoratori, i reparti confino e i licenziamenti politici per gli operai comunisti; la censura del dissenso, l’oscurantismo clerico-fascista completavano l’oppressione sociale e civile.
Fino a quando, dal ’68, l’ascesa della classe operaia, la ricomposizione attorno ad essa della popolazione povera di tutta Italia, l’unità tra operai e studenti, riaprirono la concreta possibilità di una svolta anticapitalista, ripresero a modo loro la domanda di liberazione della Resistenza.
In una prima fase si rispose con le stragi di stato per mano fascista. Poi ci si servì dei dirigenti della “sinistra ufficiale”. Così la Resistenza fu nuovamente tradita: il PCI di Berlinguer e la CGIL di Lama, in perfetta tradizione togliattiana, subordinarono la classe operaia a un secondo compromesso storico con la DC, basato sulla “politica dei sacrifici” da imporre alla classe lavoratrice (“la svolta dell’EUR”).
Il grande movimento di massa che per sei anni aveva calcato le fabbriche, le scuole, le piazze di tutta Italia, fu così distrutto e disperso dalla delusione. La dirigenza del PCI, che aveva tradito prima la Resistenza e poi il 68, concluse la propria carriera sciogliendosi, per affrettare il proprio accesso al governo del capitalismo, contro una classe operaia che aveva preventivamente disarmato e disperso.
Iniziò così quel lungo riflusso che preparò lo sbocco degli ultimi 20 anni: l’alternanza pendolare tra “Centrosinistra” e Berlusconi che, insieme, hanno realizzato la sistematica distruzione di tutte le conquiste che l’autunno caldo aveva strappato, nelle fabbriche e nella società. Il movimento, molto indebolito cercò comunque di reagire: ma le dirigenze dominanti nel PRC agirono sempre per subordinarlo al “Centrosinistra”, votando precarizzazione del lavoro, il record delle privatizzazioni in Europa, la detassazione dei profitti dei capitalisti e le missioni di guerra.
Da questo sonno della sinistra, che così perse ogni credibilità, settori di massa hanno finito col farsi irretire dal renzismo, dal salvinismo, dal grillismo, forme diverse di populismo reazionario anti operaio. Sino al governo RENZI che progetta la legge elettorale liberticida più reazionaria dal dopoguerra, peggio delle legge Acerbo che nel ’23 preluse al fascismo, con lo smantellamento di ciò che resta delle conquiste dei lavoratori, sociali e civili, nell’interesse delle solite oligarchie di banchieri e capitalisti.
C’è bisogno di costruire finalmente una sinistra rivoluzionaria. Una sinistra anticapitalista che stia sempre e solo dalla parte dei lavoratori. Una sinistra che riconduca ogni lotta e rivendicazione immediata alla prospettiva di un governo dei lavoratori quale unica vera alternativa. Il PCL, anche dal Molise, è impegnato ogni giorno in questa impresa. L’unica all’altezza delle migliori aspirazioni partigiane.