Un nuovo meccanismo molecolare coinvolto nell’ipertensione arteriosa è stato scoperto dai ricercatori del Dipartimento di Angiocardioneurologia dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS). Pubblicato sul prestigioso giornale scientifico “Immunity”, appartenente al gruppo Cell press, lo studio ha puntato la sua attenzione su una proteina, il Fattore di crescita placentare (PlGF, nella denominazione inglese) che, secondo i risultati della ricerca, potrebbe diventare un nuovo bersaglio per terapie più efficaci nel controllare uno dei più importanti problemi di salute pubblica.L’ipertensione arteriosa colpisce circa un miliardo di persone a livello mondiale e rappresenta uno dei principali fattori di rischio per ictus cerebrale, infarto, insufficienza cardiaca, malattie renali e altre patologie. E’ anche una condizione difficile da trattare: nonostante esistano varie strategie terapeutiche, le percentuali di persone che presentano una ipertensione non adeguatamente controllata sono molto alte ed in continuo aumento.“La situazione dell’ipertensione – dice Giuseppe Lembo, Professore nella Facoltà di Medicina dell’Università “La Sapienza” di Roma e Direttore del Dipartimento di Angiocardioneurologia del Neuromed – sta certamente diventando allarmante in tutto il mondo. Per questo motivo sono necessarie nuove strategie, capaci di affrontare questa condizione in modo innovativo e con maggiore efficacia”.Lo studio condotto dal centro di ricerca molisano va in questa direzione, puntando su un concetto che si sta affermando negli ultimi anni e che vede il sistema immunitario giocare un ruolo importante nel dare origine alla pressione arteriosa elevata. Nella ricerca l’attenzione si è concentrata sul Fattore di crescita placentare. Questa molecola, presente sia nel sistema cardiovascolare che in quello immunitario, è già conosciuta in medicina perché implicata in diverse patologie, ad esempio nella crescita dei vasi sanguigni all’interno dei tumori, nella degenerazione maculare legata all’età (una malattia degli occhi) o nell’ipertensione in gravidanza. Altre osservazioni fatte in passato dimostrano inoltre un suo ruolo nell’innalzare la pressione arteriosa sotto determinate condizioni sperimentali.L’ipotesi sulla quale si sono basati gli autori della ricerca era che il PlGF potesse essere uno dei principali protagonisti nel mediare il rapporto tra sistema immunitario e ipertensione. Nel corso dei loro esperimenti hanno prima di tutto dimostrato che topi geneticamente privi di PlGF non sviluppavano pressione alta dopo il trattamento con angiotensina II, un ormone che causa proprio l’innalzamento dei valori pressori.Successivamente i ricercatori hanno evidenziato come il PlGF sia uno dei più importanti fattori in gioco nell’attivazione dei linfociti T all’interno della milza e nella loro successiva migrazione verso i vasi sanguigni e verso gli organi che tipicamente vengono danneggiati dall’ipertensione. Proprio la milza emerge quindi come un organo molto importante in questo processo. Secondo lo studio pubblicato su Immunity, è qui infatti che il sistema nervoso agisce sui livelli di PlGF e, attraverso questa molecola, sull’attivazione dei linfociti T.
“Il PlGF – dice Daniela Carnevale, ricercatrice dell’Università La Sapienza di Roma presso il Dipartimento di Angio-Cardio-Neurologia dell’IRCCS Neuromed, prima autrice dello studio – si configura come un elemento chiave nel legame tra sistema nervoso, sistema immunitario e ipertensione. E’ un’osservazione molto promettente perché esistono già anticorpi monoclonali anti – PlGF, oggi usati contro la crescita tumorale e per il trattamento della degenerazione maculare legata all’età. Abbiamo quindi la possibilità di iniziare rapidamente esperimenti in cui testare l’efficacia di questi farmaci, capaci di bloccare il PlGF, anche contro l’ipertensione”.