“Millecinquecento persone finirono in mare quando il Titanic sparì sotto i nostri piedi. C’erano 20 scialuppe nelle vicinanze, solo una di loro tornò indietro… Una! Sei persone furono salvate dall’acqua… una di queste ero io. Sei su millecinquecento. In seguito, le settecento persone sulle scialuppe non poterono far altro che aspettare. Aspettare di morire… Aspettare di vivere. Aspettare un perdono… che non sarebbe mai arrivato”.
A pronunciare queste battute sul set del colossal di James Cameron fu Kate Winslet nel ruolo di Rose. Ma cosa accomuna la tragedia del Titanic al Molise?
Nella notte tra il 14 ed il 15 aprile del 1912, il noto transatlantico, partito dal porto inglese di Southampton per arrivare in America, a New York, affondò dopo la collisione con un iceberg. Nel buio fitto di una notte senza luna, le vedette avvistarono l’enorme blocco di ghiaccio quando ormai era di fronte alla nave. Una distanza che, alla velocità di crociera di 20 nodi (circa 37 km/h), impediva qualsiasi tentativo di evitare l’impatto.
Alle 00.27, quando si comprese che la prua del Titanic stava lentamente affondando, venne lanciato un SOS dal marconista Jack Phillips, raccolto dal piroscafo Carpathia, distante 58 miglia dal luogo dell’impatto. Le operazioni di salvataggio furono drammatiche. Mentre la nave affondava furono messi in salvo gran parte delle donne e dei bambini sulle scialuppe di salvataggio.
Tra i passeggeri della nave, c’era Antonio Martinelli, l’ultimo sopravvissuto della tragedia del Titanic, morto nel 2001, quasi novantenne, al Veneziale di Isernia. Originario di Sesto Campano, Antonio Martinelli era nato, come conferma il nipote Alessandro Martinelli, agli inizi del 1912 a Boston, negli Usa. Ancora in fasce fu portato in Italia, a Sesto Campano, dalla madre la quale decise poi di tornare negli Stati Uniti con il Titanic, nel suo viaggio augurale.
Il bambino, che anni dopo tutti in paese avrebbero chiamato “Z’Antonio”, fu tra le poche centinaia di passeggeri che riuscirono a salvarsi. “Lui parlava volentieri della tragedia del Titanic -dice il nipote Alessandro- raccontava spesso di quella notte della quale aveva saputo tutto, nei minimi dettagli, grazie ai racconti della madre, scomparsa nel 1972, con la quale viaggiava e che riuscì a salvarsi con il suo piccolo Tony.
Io e mia madre ci siamo salvati -ripeteva sempre- perché gli ufficiali ordinarono di far salire sulle scialuppe di salvataggio prima le madri con i bambini più’ piccoli”. Tante storie e leggende aleggiano sulla fine del Titanic. Alla vigilia della partenza da Southampton la compagnia armatrice White Star Line riorganizzò l’equipaggio del Titanic nominando all’ultimo minuto primo ufficiale Henry Tingle Wilde, già imbarcato su una nave gemella del Titanic. C
on il suo arrivo rimase senza incarichi David Blair, che era già stato nominato secondo ufficiale e che fu costretto ad abbandonare la nave in fretta e furia, portando con sé le chiavi dell’armadietto contenente il binocolo. Fred Fleet, uno dei pochi sopravvissuti al disastro, sostenne in un’inchiesta che quelle chiavi avrebbero potuto essere davvero decisive perché avere il binocolo a disposizione avrebbe permesso di vedere in tempo l’iceberg, evitando lo scontro.
Una cosa è certa: la chiave negli anni acquisì un grande valore. Dopo il naufragio Blair la tenne per ricordo. La ereditò poi la figlia Nancy che negli anni Ottanta la donò alla British and International Sailors Society, fino a quando venne venduta all’asta. Se la aggiudicò, per 90mila sterline l’amministratore delegato di una casa produttrice di gioielli cinese.
di Roberto Colella