Il vescovo di Isernia Cibotti scrive ai giovani: siamo testimoni di un cambiamento epocale

Carissimi giovani,

Questa emergenza che abbiamo dovuto imparare a chiamare per nome, “Coronavirus”, sembra ci stia espropriando di tutto: dei nostri spazi, del nostro tempo libero, delle nostre relazioni e persino dei nostri affetti. È inutile negarlo: siamo testimoni di un cambiamento epocale. E non saremo più come prima, saremo diversi, speriamo migliori!

Già prima tutti noi riponevamo in voi la fiducia e la speranza per il futuro, ma ora cominciamo a pensare che siete indispensabili per il nostro presente: siatene certi il Vostro contributo non è solo richiesto, ma necessario a noi tutti per poter affrontare ciò che stiamo vivendo. La vostra vitalità, la vostra generosità e la vostra inventiva saranno messe a dura prova, ma avrete modo di attingere a tutte le vostre risorse, per dimostrare quanto voi valete! Non dimenticatelo: siete la nostra forza, siete il futuro dell’Italia!

L’Italia, sì questa nostra Italia tanto bistrattata ed a volte persino disprezzata, ora è diventata nel mondo intero il simbolo di come si può affrontare questa sfida che ci è stata posta davanti, il simbolo di come si può combatte persino un nemico invisibile come un virus, il simbolo di come si può imparare a ritrovar l’unità nazionale stando dentro questa immane tragedia che sta coinvolgendo tutto il pianeta. I nostri balconi hanno reso evidente a tutto il mondo la nostra
capacità di gioire anche nei momenti difficili, di essere generosi nelle contrarietà che accadono, di essere caparbi e ostinati quando c’è da difendere la vita.

Sono apparse nuove forme di barriera e di difesa, a ricordarci quelle che avevano caratterizzato il Risorgimento e motivato i Partigiani nella reazione ad ogni forma di totalitarismo. Eppure, credo che il vero prodigio si sta manifestando nelle nostre case e lontano dallo sguardo di tutti: c’è una ricchezza infinita nei piccoli gesti quotidiani delle nostre nonne e dei nostri nonni, delle nostre mamme e dei nostri papà, di ognuno di voi e di noi. Ce ne accorgiamo?


Oggi avvertiamo, forse per la prima volta, il nostro bisogno della natura: il bisogno di immergerci nello scenario che scorgiamo ogni giorno dalle nostre finestre e che fino ad ora davamo per scontato: le “nostre” Mainarde, le “nostre” colline, i “nostri” fiumi… Tutta la natura nel suo risveglio primaverile ci incanta per la ricchezza di colori, la profondità dei suoni, la delicatezza dei profumi. Ed è lei, la “nostra madre terra”, che ha preso la parola per ricordarci che noi non la possediamo ma che ci è data in dono ogni istante, come la vita.

E quando quelle finestre aperte sul mondo che ci circonda siamo costretti a
chiuderle, non dobbiamo temere: c’è altrettanta bellezza che abita le nostre case
e le nostre esistenze. C’è tanta bellezza in ognuno di Voi: nelle dimensioni
ristrette delle vostre camerette state imparando a superare i confini angusti
delle mura domestiche, per riscoprirvi uniti più di prima, nel mondo virtuale di
internet. Vi impegnate ogni giorno per incontrare amici e amiche, fino a scoprire
che il mondo, alla fin fine, non è grande come sembra. E se tutto questo non Vi
basta, sappiate che è bene che sia così: se avvertite dentro di voi il desiderio e la
necessità di gesti come il potervi sfiorare, accarezzare e trasmettere profumi ed
emozioni, sappiate che essi apparterranno ancora alla vostra quotidianità, forse
persino in un modo nuovo, e torneranno a raccontare di voi, del vostro
personale modo di diventare donne e uomini. Sono proprio convinto che questa
sarà la meraviglia da scoprire insieme, non appena sarà dato. Sono convinto che
si dilateranno all’infinito i nostri orizzonti: le differenze di razza, di cultura, di
idee, di confini le vedremo come facce poliedriche della meravigliosa famiglia
umana. Sono convinto che da questa esperienza scaturirà un modo più vero di
affrontare un’unità di genere e di generazioni: la società rinata attraverso questa
terribile esperienza non apparirà più ai nostri occhi come risultato di
agglomerati urbani indifferenti ed estranei l’uno a l’altro, ma come luogo di
consapevolezza e di accoglienza e di solidarietà.
Sono certo di almeno un’altra cosa, ultima non per importanza: in questi spazi
ristretti ed angusti nei quali siamo rinchiusi con i nostri pensieri e sentimenti,
c’è posto per Dio. Quel Dio che è difficile riconoscere in ciò che sta accadendo
adesso. Quel Dio che da sempre vi è apparso il frutto di ideologie o, peggio, della
costruzione della Chiesa Cattolica. Quel Dio che sarà al nostro fianco, sempre.
I vostri Docenti di Religione faticano non poco a districarsi tra le critiche, a volte
anche giuste, di come la Chiesa sia piuttosto un apparato, una struttura
omologata ai poteri forti. Ma, ragazzi, credetemi e lasciatemi condividere ciò che
ho vissuto come sacerdote e vescovo. Dovreste conoscere ed inoltrarvi nei
giardini della solidarietà e del volontariato che alimentano e rappresentano il
vero volto della Chiesa per poter fare esperienza di Dio! Cercate di conoscere il
SERMIG di Ernesto Olivero, la Comunità Nuovi Orizzonti di Chiara Amirante o la
Comunità di S. Egidio, per fare alcuni esempi. Sicuramente, potrete avere uno
sguardo più autentico sulla Chiesa, per quella che è e non per quella che
potrebbe o dovrebbe essere: non lontana, ma vicina e capace di “sporcarsi” con e
per gli ultimi.
Se vi va di ascoltarmi ancora per qualche minuto, continuo ad aprirvi il cuore.
Sapete, in questa pandemia così terribile, spesso mi viene chiesto:” Ma che fa Dio
in questo momento?”. Oppure mi viene domandato: “Perché Dio sembra
rimanere indifferente di fronte al dolore e alla sofferenza dell’uomo?”. Io non ho risposte, come tutti, in questo momento. Semplicemente, mi viene spontaneo
considerare il Tempo liturgico che scorre parallelamente a quello della
quarantena e dell’isolamento. Nella Settimana Santa rivivremo la Passione e la
morte di Gesù. Anch’egli ha gridato sopraffatto dalla sofferenza:” Dio mio, Di
mio, perché mi hai abbandonato?”. Ma mi sono chiesto e vi chiedo in questo
momento: questo suo “alzare la voce” è stata l’espressione di chi si è sentito
trascurato o di chi ha cercato vicinanza e presenza in una situazione di
sofferenza e di morte? Anche Gesù ha percorso la strada della fragilità e della
debolezza, ma non ha mai visto il dolore, la sofferenza e la morte come una
sconfitta. Quando egli ha dato parola a ciò che pensava e sentiva dentro di sé ha
voluto far emergere dal momento buio che stava vivendo il fulgore di una
opportunità: manifestare il bisogno di Dio, di un Altro che fosse presente e
vicino. Questo compie Dio nella storia dell’uomo!

Quando il suo modo di agire a noi rimane incomprensibile, egli può avere una sola ragione: attendere il grido dell’uomo che si abbandona nella Sue braccia e alla Sua volontà. A questo
proposito mi piacerebbe che ascoltaste un video di un reparto di ospedale: non
si sa se si tratta di un nosocomio del Brasile, ma è certo gli infermieri ed i medici
cantano in lingua portoghese. Farò in modo che i Professori di Religione vi
recapitino il file, perché mi piacerebbe proprio sapere cosa voi ne pensate dopo
che l’avete ascoltato.
Vi lascio con questa curiosità e vi rendo esplicita la mia ammirazione per quanto
state accettando non come un condizionamento, ma come un momento di
crescita.
Vi stimo molto proprio per questo: ai miei occhi il vostro restare a casa ad
affrontare una realtà che neppure noi adulti sappiamo come vivere è già segno
della presenza di Dio.
Vi abbraccio tutti indistintamente e benedico voi e le vostre famiglie,
augurandovi una Santa Pasqua: diversa ma sicuramente più vera, perché chiede
una rinascita, umana e spirituale.

  • Camillo Cibotti
    vostro padre e pastore
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