Una forma rarissima di predisposizione genetica alla malattia di Parkinson è stata individuata, per la prima volta in una famiglia italiana, da un gruppo di ricercatori dell’I.R.C.C.S. Neuromed, di Pozzilli (IS), che hanno presentato i risultati del loro studio con una comunicazione orale al 28° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina di laboratorio, a Rimini. Le cause dello sviluppo della malattia di Parkinson non sono ancora del tutto chiare, ma si ritiene che la patologia sia il risultato di una interazione tra predisposizione genetica e fattori ambientali. In alcuni rari casi di Parkinson familiare, però, i fattori genetici diventano particolarmente importanti.
Uno di questi casi è stato al centro della ricerca condotta dal Centro di Genetica Molecolare dell’I.R.C.C.S. Neuromed e presentata al congresso da Veronica Albano e Rosa Campopiano, due delle autrici dello studio. I ricercatori molisani hanno puntato l’attenzione sul gene responsabile della produzione della alpha-sinucleina, una proteina che, in forma alterata, è fortemente implicata nel Parkinson. Osservando due pazienti, fratello e sorella, entrambi colpiti da una forma di Parkinson precoce, con inizio attorno ai 30 anni di età, i ricercatori hanno scoperto nel loro DNA una triplicazione del gene della alpha-sinucleina (SNCA).
“Si tratta – dice Stefano Gambardella, Responsabile del Centro di Genetica Molecolare – della prima famiglia italiana individuata in cui è presente una triplicazione del gene SNCA, mentre a livello mondiale se ne conoscono meno di dieci. Le persone con questo assetto genetico tendono purtroppo a sviluppare il Parkinson molto precocemente, a differenza di quelle in cui il gene è solo duplicato. In altri termini, osserviamo un effetto legato proprio al numero di copie del gene SNCA”.
“Questo studio – dice Edoardo Romoli, Direttore sanitario dell’I.R.C.C.S. Neuromed – rappresenta l’essenza stessa della ricerca traslazionale, un concetto che è alla base dello spirito Neuromed. Non solo una ricerca che possa arrivare il prima possibile a portare benefici ai pazienti, ma anche una clinica, nella corsia dell’ospedale o negli ambulatori, che sia capace di osservare e porre quesiti ai ricercatori, per indirizzarli verso nuove strade ed arrivare ad una maggiore comprensione dei meccanismi più profondi delle patologie”.