In occasione della Giornata Mondiale contro l’Ictus cerebrale, 29 ottobre 2014, l’I.R.C.C.S. Neuromed intende rimarcare pochi punti, ma essenziali, su una patologia che oggi viene considerata come la prima causa di invalidità tra le malattie cardiovascolari. Proprio queste ultime vengono considerate prima causa di morte al mondo con circa 15 mila persone colpite. Ogni anno si calcola che in Italia si verifichino oltre 200.000 nuovi casi di ictus (incidenza 2-3 paz/anno/1000 abitanti) e che i soggetti che hanno avuto un ictus e sono sopravvissuti, con esiti più o meno invalidanti, siano circa 900.000. Una malattia Due le parole che non devono marcare quando di parla di ictus cerebrale: velocità e prevenzione. Ne abbiamo parlato con il dottor Antonio Sparano, Responsabile del Centro per la diagnosi e la cura dell’ictus cerebrale (“Stroke unit” nella definizione inglese) dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli.
“Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito ad un profondo cambiamento nel modo in cui consideriamo l’ictus cerebrale. – spiega Sparano – Una volta l’atteggiamento verso il paziente era di attesa: verificare il danno ricevuto, aspettare che le condizioni del paziente, se sopravviveva, si fossero stabilizzate e quindi pensare a come gestire la situazione lasciata dallo stroke. Oggi, invece, siamo molto aggressivi già dai primi momenti”.
Oggi bisogna essere veloci. La velocità deve contraddistinguere la diagnosi, le terapie, velocità persino in un campo considerato “tranquillo” come la riabilitazione. Tutto riassunto in una frase che ormai rappresenta un luogo comune per l’ictus cerebrale: “il tempo è cervello”, come evidenzia il Responsabile della Stroke Unit: “E’ indubbio che il tempo sia un fattore fondamentale quando si tratta di ictus. Parliamo di quattro ore e mezza, questa è la finestra entro la quale, una volta comparsi i sintomi, l’avvio delle cure specialistiche può determinare i risultati migliori. Non c’è tempo da perdere, è una consapevolezza che purtroppo deve ancora diffondersi meglio. I pazienti, o i loro familiari, possono avere dubbi sulla sintomatologia. Magari pensano che possa essere qualcosa di poco serio, decidere di aspettare un po’, domani andiamo da medico. Non è il giusto comportamento: quando compare il sospetto di uno stroke è meglio rivolgersi subito al 118 piuttosto che essere cauti”.
Possiamo parlare di ictus in due casi specifici della patologia: nella stragrande maggioranza, 80%, affrontiamo l’ictus ischemico, nel quale un’arteria cerebrale viene chiusa da un coagulo sanguigno che può essersi formato direttamente in quel punto o può venire da un’altra parte del corpo, ad esempio dalle arterie carotidi. Il restante 20% è di tipo emorragico, dovuto alla rottura di un vaso sanguigno. Completamente diversi tra loro, ma entrambi legati al fattore tempo. Per i primi un punto di svolta importante arrivò nel 1995, quando si cominciò ad usare, inizialmente negli Stati Uniti e poi anche in Europa, la cosiddetta terapia trombolitica, l’uso di un farmaco iniettato endovena, il TPA, capace di sciogliere i coaguli sanguigni. Significa far tornare a circolare il sangue nell’area colpita, e prima lo si fa, minore sarà il danno per i neuroni.
“E’ qui che entra in gioco la complessità di una Unità dedicata specificamente a questo problema – commenta Sparano.
E poi c’è il discorso di cosa resta passata l’emergenza. Il cervello può aver subito un danno più o meno esteso. Potrebbero essere coinvolte aree importanti, come quelle del linguaggio. Eppure il nostro cervello ha grandi potenzialità di recupero, a volte difficilmente immaginabili. E’ qui che la ricerca medica potrà dare nuove risposte. “E’ vero. Esiste una riorganizzazione cerebrale. In termini tecnici, la definiamo plasticità. Una determinata area è stata danneggiata, ed allora un’altra area può attivarsi per “farne le veci”, potremmo dire. Naturalmente senza dare false speranze, può accadere che la riorganizzazione possa ridare al paziente funzioni che sembravano perdute. Però tra un paziente e l’altro c’è molta differenza in questo, e non sappiamo ancora perché. Lo studio del cervello attraverso strumenti di indagine sofisticati, come la risonanza magnetica funzionale (che permette di vedere il cervello “in funzione”, ndr), ci farà capire in futuro come avviene questo processo, e come la medicina possa aiutarlo”.
Il vero obiettivo però, in una medicina che si avvia sempre di più verso la strada della prevenzione, è di evitare che l’ictus colpisca. “Qui si può fare molto. – ci dice il dottor Sparano – Uno stile di vita sano è fondamentale. Non fumare, fare attività fisica, evitare l’eccesso di alcol, combattere l’obesità, tenere sotto controllo la pressione arteriosa, sono tutti piccoli elementi che, se considerati nell’insieme, possono fare molto per ridurre il rischio di essere colpiti dall’ictus. Prevenire questa malattia deve diventare un impegno costante del paziente e del suo medico curante”.
Oltre ad uno stile di vita sano, è importante conoscere i fattori di rischio che ci aiutano a capire se ci troviamo di fronte alla comparsa di un ictus cerebrale, un momento che può risultare cruciale per il nostro cervello e per i danni a cui potrebbe andare incontro.
Attenzione dunque a:
-Bocca storta
Un lato della bocca, o della faccia, sembra “cascante” rispetto all’altro, oppure perde improvvisamente sensibilità. Lo si vede meglio se si prova a sorridere.
-Debolezza o immobilità
Improvvisamente non si riesce più a muovere bene, o del tutto, un braccio o una gamba. Muovendoli insieme (ad esempio alzando entrambe le braccia) la differenza è evidente
-Insensibilità
Un braccio o una gamba diventano insensibili
-Difficoltà a parlare
Qualcuno con cui state parlando non riesce più a capire le vostre parole
-Difficoltà a capire
Gli altri vi parlano ma improvvisamente non capite più bene cosa vi stanno dicendo
-Difficoltà alla vista
Non si vede da un occhio, oppure di un oggetto vediamo male una metà
Non sottovalutare questi sintomi è il primo passo verso un intervento tempestivo, e quindi più efficace. Agire immediatamente chiamando il 118.
Giornata Mondiale dell’Ictus cerebrale. Velocità e prevenzione le parole chiave contro questa malattia
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