«Si è tentato più volte di scrivere una legge per la montagna, sia regionale che statale, ma la verità è che fino ad oggi si è fatto ben poco per riequilibrare le sorti di chi ha scelto di vivere nelle aree interne del paese. Il principio di uguaglianza, sancito dalla Costituzione, dice che si è tutti uguali indipendentemente se si vive a Capracotta o sulla costa. Non siamo un’area protetta, dove è conservata anche una biodiversità umana, né un parco giochi o relax per chi vive in città. Rivendichiamo una nuova centralità geografica e politica della montagna che è, ad oggi, la più estesa e popolosa “regione” d’Italia, dalle Alpi e lungo tutta la dorsale Appenninica». Parole forti, come sempre, quelle del sindaco di Capracotta, Candido Paglione, che ha aperto, questa mattina, il “Forum delle terre alte”, nell’ambito dei progetti portati avanti ormai da anni da “MontagnAperta”, coordinata da Gianluca Di Lonardo.
Da Capracotta è arrivato un segnale di allarme chiaro: «La montagna non ha più tempo, perché se aspettiamo che vengano approvate leggi mirate, si rischia che al momento di applicarle non ci sarà più nessuno nelle aree interne», come ha sottolineato Paglione. «Non siamo borghi, siamo paesi e comunità, una montagna viva, dove si vive meglio che altrove, con una qualità della vita maggiore, e dove si può fare impresa, a condizione però che ci vengano assicurati i servizi essenziali» ha aggiunto il sindaco e delegato Uncem per il Molise.
«Non è ammissibile che una giovane coppia di Capracotta debba fare cinquanta chilometri per raggiungere a Isernia il primo pediatra in grado di visitare il proprio figlio. – ha denunciato il primo cittadino – Servono investimenti strutturali che assicurino i servizi basilari di cittadinanza. E serve finalmente una fiscalità differenziata che renda effettivamente vantaggioso vivere nei centri montani dell’entroterra». «La montagna non è marginale, – ha chiuso Paglione – perché rappresenta i due terzi del territorio nazionale e milioni di persone che vivono e fanno impresa e cultura nelle zone interne».
Anna Rizzo, antropologa culturale e autrice del libro “Paesi invisibili”, ha affrontato le problematiche legate allo spopolamento e allo stato di abbandono di edifici e infrastrutture, proponendo una nuova narrazione «che tenga presente i paesani, i loro bisogni, le loro paure e le strategie di adattamento che hanno individuato per restare a vivere in montagna». Solo così, a suo avviso, sarà possibile trovare le motivazioni che spingono a rimanere nei paesi di montagna o addirittura di farci ritorno.
Particolarmente apprezzato l’intervento di Piero Lacorazza, giornalista, co-fondatore e direttore generale della Fondazione Appennino ETS e coordinatore del gruppo di lavoro “Politiche per il Sud” in ASviS, Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile. «Ci sono troppi luoghi comuni sulle aree interne. – ha esordito Lacorazza – Serve una anti-retorica che cominci a raccontare i paesi montani in maniera diversa, partendo da chi ci sta, da chi ci vive e non è andato via. Operazioni di ri-popolamento possono andar bene per i cinghiali, non certo per le persone. Bisogna puntare ad offrire servizi a chi c’è, al “materiale” umano presente, che è fatto in maggioranza da anziani».
E ha proposto una sorta di “prescrizione medica” per vivere in montagna, come facevano i medici condotti cinquant’anni fa quando, appunto, prescrivevano dei soggiorni nelle stazioni climatiche, come Capracotta ad esempio, contro le bronchiti o l’asma dei bambini. La famosa “aria buona”, terapeutica e benefica. «Esistono le cure termali, riconosciute e pagate dal sistema sanitario nazionale. – ha argomentato Lacorazza – Così possono esistere quelle che io definisco le “cure paesane”: persone di una certa età che avrebbero intuibili benefici di salute, anche psichica, nel vivere o risiedere per lunghi periodi nei piccoli centri montani, dove la qualità della vita è migliore e anche le relazioni sociali sono imparagonabili rispetto a quelle delle città». Un’idea forse visionaria, che però è saldamente ancorata al nuovo ruolo dei centri montani, più vivibili perché meno affollati, riscoperto anche dopo la pandemia da Covid.
Da remoto sono seguiti gli interventi di Marco Bussone, presidente nazionale dell’Uncem, che ha insistito sulla fiscalità differenziata per le aree interne, e dell’architetto Sandra Varaschin, Consulente del Comune di Sauris in Friuli, ente locale vincitore “Best Rural Village UNWTO”. Un albergo diffuso esteso praticamente a tutto il paese di montagna, gestito da una cooperativa e collegato ad una rete di servizi. E così un paesino di 390 abitanti è riuscito a mettere in moto un volume di turisti di quarantamila presenze all’anno. «Ma sono serviti tanti soldi, finanziamenti speciali e politiche mirate per la montagna» ha sottolineato l’architetto.
Opportunità e strategie per la montagna presentate anche dalla presidente del Gal Alto Molise, Serena Di Nucci, dal professor Luciano De Bonis, docente di Tecnica e pianificazione urbanistica dell’Università del Molise, e dall’avvocato Fausto Parente amministratore delegato di Funivie Molise. Proprio Parente ha insistito sulla necessità di investire sulla cultura anche in periodi dell’anno non prettamente turistici, per destagionalizzare l’offerta e attrarre nuove presenze nelle zone dell’entroterra montano.
In chiusura Paglione: «La montagna, tra le altre cose, è la “fabbrica” dell’acqua: una quota della risorsa idrica va stornata dai guadagni dei gestori e dedicata a finanziare politiche per il territorio montano. Non chiediamo una politica assistenzialista, né elemosine, ma chiediamo che venga riconosciuto il diritto di cittadinanza e di uguaglianza a prescindere da dove si vive. Anche qui in montagna».