Il 20 giugno è la giornata mondiale del rifugiato e tutte le città italiane organizzano iniziative dedicate al tema dell’accoglienza. Qui a Isernia invece si propongono interrogazioni per evitare che un gruppo di migranti venga accolto in città e si organizzano manifestazioni contro il loro arrivo. A tal riguardo, l’Arci Immigrazione Isernia intende fare delle precisazioni su alcuni temi che, evidentemente, sono ancora confusi, creando non pochi equivoci e prestandosi a facili e scontate strumentalizzazioni. Facciamo un po’ di chiarezza.
Innanzitutto, che cosa significa essere un “richiedente asilo”. Parliamo di persone che scappano dal proprio paese a causa di guerre, discriminazioni ed estrema indigenza. Arrivando in Europa chiedono la protezione che il loro paese non può garantire. In base ad accordi internazionali ai quali l’Italia ha aderito, chiunque giungendo sul nostro territorio fugga da tali situazioni e richieda asilo non può essere respinto. È il principio del non-refoulement, il divieto di respingimento dettato dall’articolo 33, comma 1 della Convenzione di Ginevra e dalle leggi comunitarie e nazionali a essa correlate. Stiamo parlando, quindi, di “richiedenti asilo”. Non di “clandestini”, termine che come tutti sapranno indica chi entra in un paese senza presentare le proprie generalità alla frontiera e soggiorna senza visto di ingresso e senza documenti.
Al contrario, tutti gli ospiti dei centri di accoglienza della provincia sono “richiedenti protezione internazionale”, il che significa che sono tutti in possesso di regolari documenti rilasciati dalle autorità italiane: dal permesso di soggiorno alla carta di identità, alla tessera sanitaria, oltre ai documenti di cui erano già in possesso nel loro paese. Quindi sono tutti identificabili in qualsiasi momento. Hanno tutti formalizzato alle Autorità italiane la richiesta di riconoscimento della protezione internazionale ai sensi della Convenzione di Ginevra e, in caso di rigetto della domanda, hanno tutti il diritto di presentare ricorso all’autorità giudiziaria, nel pieno rispetto del diritto internazionale.
In seguito all’arrivo di migranti in Italia, poi, non sono i prefetti a decidere dell’istituzione dei centri di accoglienza. È il Ministero degli Interni che, tramite circolari ministeriali, richiede il numero di posti disponibili in tutte le prefetture. Per appurarne l’esistenza, queste diramano dei bandi prefettizi, ai quali possono partecipare anche quelle strutture alberghiere che ritengano di poter ospitare dei profughi. Alle strutture riconosciute idonee all’accoglienza viene destinato un certo numero di migranti, in base alla capienza. Sono i così detti CAS, i Centri per l’Accoglienza Straordinaria. In realtà è proprio questa gestione straordinaria ed emergenziale a destare perplessità, in quanto spesso è affidata a centri improvvisati, privi di figure professionali specializzate e, dunque, in molti casi incapaci di rispettare gli standard minimi di accoglienza.
A ogni struttura vengono destinati circa € 35 al giorno per ospite. Tale somma è stanziata in parte dal Ministero degli Interni e in parte dall’Unione Europea ed è utilizzabile esclusivamente per arginare l’emergenza profughi. Esclusivamente perché non può in alcun modo essere destinata ad altri usi, alla lotta alla disoccupazione o al rilancio economico di una città, così come è stato sostenuto in questi giorni.
Spesso, inoltre, si omette che queste somme, oltre a essere un’occasione di facile guadagno per le strutture ospitanti, vengono reinvestite proprio sul nostro territorio. Si pensi ad esempio alle ditte che forniscono i pasti ai profughi, alle spese che i gestori dei centri devono sostenere per la manutenzione delle strutture rivolgendosi a imprese locali, al personale impiegato per le pulizie e per tutti gli altri servizi offerti. Il denaro percepito dalla struttura, quindi, non finisce – come puntualmente si insinua – nelle tasche dei migranti. Questi percepiscono in media 2,50 € al giorno, che utilizzano per far fronte a piccole spese quotidiane: dalle ricariche telefoniche per chiamare i parenti lontani, a piccole necessità, come comprare una bottiglia d’acqua o un caffè.
Anche questi soldi, quindi, vengono spesi sul territorio: negli esercizi di money transfer a pagamento della città, per inviare alle proprie famiglie parte del denaro (in media su 75 euro al mese percepiti, 55 vanno in Africa); per le ricariche telefoniche o i biglietti del trasporto pubblico extraurbano. Riguardo inoltre al paventato “pericolo sicurezza” sull’istituzione di un centro di accoglienza in città e nei pressi di istituti scolastici, vogliamo demistificare una visione razzista, in quanto sostenuta da ataviche paure che considerano “l’uomo nero” come un pericolo per la collettività.
E ricordare invece l’esperienza di Agnone e di Campobasso. In entrambi i Comuni l’istituzione di centri di accoglienza – ad Agnone ben due – sta portando a una reale integrazione tra immigrati e cittadini. Grazie a una vera politica di integrazione, gli ospiti dei centri possono partecipare attivamente alla vita sociale del luogo: contribuendo alla pulizia dei marciapiedi in occasione delle grandi nevicate dello scorso inverno, allenandosi con la squadra di calcio o di pallavolo, occupandosi della pulizia dei campi durante il periodo estivo. A Campobasso, nell’ambito del progetto “Azione ed Integrazione”, è nata una collaborazione tra gli ospiti del centro di accoglienza temporaneo dell’Hotel Eden e l’Istituto Professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente. L’attività è stata promossa in continuità con altri progetti di inclusione sociale già in atto, per coinvolgere i migranti in iniziative finalizzate, oltre che alla manutenzione nelle aree verdi della struttura scolastica sita in via Manzoni, a favorire il processo di integrazione con la comunità locale, in particolare con gli studenti. Se si guarda fuori regione, poi, numerosi sono i casi nei quali i migranti sono parte attiva in progetti di pubblica utilità.
Concludendo vorremmo cogliere l’occasione per divulgare alcuni dati forniti da Frontex, l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere. I migranti sbarcati in Italia nei primi quattro mesi del 2015 sono circa 3000 in meno rispetto a quelli arrivati nello stesso periodo del 2014. E il numero di decessi in mare è passato da 17 nei primi mesi del 2014 a ben 1.700 dei primi mesi del 2015. Se si guardano i numeri, quindi, ad aumentare davvero non sono gli arrivi, ma le persone morte nel tentativo di raggiungere le nostre coste.
La nostra provincia, ancora oggi storica terra di emigrazione, ha oggi una grande occasione: dimostrare di aver fatto esperienza degli anni in cui da Isernia si partiva per andare “fuori terra” a cercare fortuna e si veniva discriminati, di aver compreso quali siano le difficoltà da affrontare quando si è costretti a lasciare il proprio paese e i propri cari per inseguire una vita migliore in un luogo lontano. Vorremmo che Isernia dimostrasse di aver maturato una cultura dell’accoglienza, che la città faccia parlare di sé non come luogo di esclusione, ma come terra di naturale integrazione, data la sua storia e il suo grande spirito di solidarietà.
Arci Immigrazione Isernia: Perché l’Italia e Isernia devono accogliere i migranti
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