Il risultato del referendum costituzionale del 4 dicembre segna un ulteriore, positivo, movimento dell’Italia verso i nuovi scenari economici e politici di un mondo che cambia. La proposta reazionaria e conservatrice, falsamente ammantata di novità e spirito di progresso, è stata sonoramente sconfitta. Un leader per caso, come è stato Matteo Renzi, la cui unica dote rilevante era una parlantina sciolta e brillante è stato rimandato a casa, lui e la sua improbabile corte di amici selezionati al bar del suo paese. I poteri forti, le banche, la finanza, i giornali e le televisioni corrotte e prezzolate, la burocrazia europea, i tedeschi, l’ambasciata americana, Giorgio Napolitano non ce l’hanno fatta. 19 milioni di italiani hanno ripreso in mano il loro destino, salvando una delle Costituzioni migliori esistenti al mondo. Ci aspettiamo ora un’edizione austriaca della Repubblica, visto che il decaduto foglio di propaganda in Italia non è riuscito a fermare l’onda lunga della storia, mentre nel vicino paese transalpino i poteri forti tengono, con l’elezione di un loro esponente alla presidenza della Repubblica . Detto questo ci sono ancora molte cose da dover sistemare prima che l’Italia possa tornare a crescere, a svilupparsi e ad affrontare le difficilissime problematiche sociali che il rivoluzionario sviluppo tecnologico sta comportando. La reazione è stata sonoramente battuta ma non è morta, anzi. Si sta riorganizzando per evitare la perdita del potere, che solo un’elezione politica generale potrebbe comportare. E quindi via ai governi tecnici, ai Piercarlo Padoan e i loro litri di latte, ai presidenti del senato decorativi e inutili. E questo, complice le resistenze di un Parlamento di nominati che attende il termine per poter intascare la pensione, rende la demolizione del sistema un’operazione ancora difficile e pericolosa.
Ma in ogni caso il destino è segnato, la strada è inevitabile. Ci sono poi i territori, le comunità locali dove, al riparo dalle luci della ribalta il modello marcio di gestione del potere tiene in modo abbastanza stabile. Uno di questi posti, piccolo ma significativo, è il Molise. Anche da noi il No ha vinto nonostante gran parte della elite del potere locale si sia molto spesa per aiutare l’amico Renzi. Non ci sono state le fritture di pesce di Agropoli ma comunque la macchina di potere locale ha provato ricette di acquisizione del consenso ormai superate. Va detto, ad onor del vero, che il problema del Molise e delle sue città non è legato a questo o quel personaggio o politico. Essenzialmente, a prescindere dai colori delle loro casacche, spesso cangianti, il problema è che la classe dirigente molisana è composta per la stragrande maggioranza (voglio lasciare comunque lo spazio a meritorie eccezioni) da persone inadeguate e inadatte al ruolo.
Oltre alla dotazione neuronale media, non esaltante, c’è un problema di cultura (spesso completamente assente) e di mentalità. Si tratta in moltissimi casi di persone incapaci ed incolte il cui unico obiettivo di breve è implementare, a volte in modo sontuoso, a volte in modo illecito, le proprie entrate economiche mensili. Non puoi affidare una comunità, regionale, provinciale o comunale che sia a persone così, non ha alcun senso. O meglio non ha più senso. Prima, quando i soldi pubblici erano fiumi abbondanti e copiosi questi signori una funzione la svolgevano. Distribuivano questi soldi, con le leve dell’assistenzialismo e del clientelismo, e secondo il motto “chi sparte tiene la migliore parte” intascavano tenori di vita improponibili in mille altre vite che avessero vissuto. In un mondo di parassiti erano gli organizzatori dei parassiti, i sergenti del parassitismo e per questo venivano premiati. Ora che i soldi pubblici non ci sono più ce li ritroviamo ancora lì e il re diventa nudo. Sempre nella stragrande maggioranza dei casi sono dei buoni a nulla, non sanno nemmeno perché sono lì e sono solo felici dell’accredito bancario che ricevono ogni mese sul loro conto.
La situazione del Molise è quella di gran parte dei territori italiani, specie di quelli meridionali, sia ben chiaro. Ma da noi, causa la biblica fuga di cervelli, la ridotta numerosità, un’organizzazione sociale ancora saldamente fondata sul tribalismo l’effetto è ancora più surreale. Per rimettere in piedi l’Italia e anche il Molise ovviamente questa gente deve tornare nelle proprie abitazioni, con la raccomandazione di non uscire troppo spesso. Ma per fare questo, per salvare territori marginali come il Molise ci vuole un aiuto esterno. Deve prima crollare il fulcro del sistema marcio, poi forse anche la periferia, inclusa la nostra, si adeguerà. Per il momento bisogna solo stringere i denti e continuare a sopportare, lavorando per un futuro migliore per noi e per i nostri figli, anche nel Molise.
Pietro Colagiovanni