di Pietro Colagiovanni
Purtroppo ancora una volta parlo di una cosa che non mi ha sorpreso in positivo ma mi ha comunque sorpreso. Vivo a Campobasso e ne ho potuto apprezzare, si fa per dire, il continuo e neanche tanto lento degrado degli ultimi anni. La città giardino è oggi una città desolata, degradata, abbandonata a se stessa. Le colpe non sono solo delle amministrazioni pubbliche ma anche di un declino economico inarrestabile, frutto di mancate scelte di decenni addietro. Come che sia Campobasso oggi sembra una città senza futuro e il continuo calo del numero dei suoi abitanti ne è la triste conferma. In questo clima non esaltante si inseriscono momenti di puro surrealismo, di dadaismo direi, che diventano la migliore narrazione di una città in declino. A Campobasso questo momento si chiama raccolta differenziata dei rifiuti. Faccio un’altra premessa: le colpe di tale stato di cose non sono riconducibili, almeno non tutte, all’amministrazione attuale, che non è riuscita ad invertire una situazione assolutamente insoddisfacente, né tantomeno agli operatori della Sea che si impegnano quotidianamente per dare un servizio efficiente ai cittadini. Il problema è nel manico, in un progetto fatto male e realizzato peggio, costosissimo e inefficiente che sta dando il colpo di grazia ad una città già traballante. Cosa c’è che non va? Facciamo un rapido elenco. Punto primo i costi: le bollette della Tari sono tra le più alte d’Italia, per le attività commerciali veri e propri salassi fiscali, a fronte di un servizio modesto e nel migliore dei casi banale. Punto secondo: Campobasso, forse uno dei pochi capoluoghi in Italia rimasti, non è ancora servita sull’intero territorio cittadino dal servizio di raccolta differenziata. Ci sono zone rilevanti, come il centro cittadino, in cui si continua con i bidoni vecchio stile, con l’aggravante che questi bidoni, per così dire liberi, sono intasati, con orribile effetto scenico e nasale, dall’immondizia che tanti (sicuramente incivili) scaricano liberamente dai quartieri serviti dalla differenziata. Punto terzo: la chiamano raccolta porta a porta ma non è porta a porta, al limite è “porta a cento metri” (se ti va bene). I mastelli non sono raccolti presso il portone di casa, la vera porta a porta, ma in mostruosi ingegni di ferro di natura condominiale, posti a distanza dai singoli appartamenti , di solito a fondo strada, con percorsi anche significativi da fare. Che vuol dire questo? Che le persone anziane, una fetta sempre più significativa della popolazione di Campobasso, hanno difficoltà nel poggiare i mastelli e, in caso di maltempo, rischiano, loro fragili, di ammalarsi per andare a deporre nell’ingegno condominiale la loro immondizia. Una cosa davvero demenziale di cui, però, nessuno sembra farsi carico. Punto quarto: grazie a questa geniale impostazione una città già imbruttita dall’incuria oggi è diventata ancora più brutta e inguardabile, oltre che puzzolente e sporca. Le centinaia di imbracature condominiali in ferro che costellano i quartieri di Campobasso, arricchite di mastelli e immondizia sparsa ai loro piedi, rende Campobasso un posto per un film sulle città distopiche, un termine molto in voga per significare semplicemente città da incubo. Mi fermo qui, ma ma credo si potrebbe continuare ancora a lungo. Il senso è sempre quello: Campobasso non è una città brutta, anzi, ma l’incapacità di uno Stato fallito, rapace (bollette Tari carissime) e incapace l’ha trasformata da giardino in discarica a cielo aperto.