di Pietro Colagiovanni
Chi mi conosce lo sa: sono un bastian contrario. E più forte di me, non riesco a non analizzare quello che mi viene detto in base alle mie personalissime convinzioni, non credo nelle autorità costituite, non credo neanche nella mia autorità, il dubbio è la mia cifra esistenziale. E quindi non vivo a mio agio in questo mondo fatto di verità pronte e disponibili, di sentenze inappellabili, di scienza mai provata, di verità inoppugnabili mai rivelate da nessuno. Non credo in sacerdoti in cui il vuoto del ragionamento si ammanta di paramenti scintillanti e luccicanti, non credo in esperti che non hanno mai sperimentato nulla, non credo e basta. Per cui quando ogni giorno ti propinano presunte verità, talmente vere da essere diventate convenzioni non ce la faccio e come dicevano due bravissimi cabarettisti “m’aggià sfugà”. Uno dei tanti argomenti che mi fa impazzire è relativo allo smart working. Una delle pochissime cose buone ereditate dal momento di follia collettiva del Covid o pandemia con la P maiuscola che dir si voglia, ma che oggi si cerca in tutti i modi di frenare, controllare, soffocare. In Italia non si capisce per quale strano motivo va autorizzato, motivato, legiferato addirittura. Ma perché? Perché l’Italia è un paese fallito, governato da vecchi livorosi ed egoisti che pensano di essere immortali ed in cui pure i giovani (tranne quelli che fuggono all’estero, disperati) sono talmente rimbambiti da sostenere le cause dei vecchi, mentre magari si dedicano all’ultimo Tik tok di turno. Basti ricordare come, caso unico al mondo, i giovani scesero in piazza per manifestare per l’approvazione della riforma Dini delle pensioni (altro che Fornero) una riforma che tagliava le pensioni alle future generazioni di circa il 50%. E quindi i vecchi rancorosi e diffidenti sono contrari a qualsiasi novità, incluso lo smart working. Altera equilibri, mette in dubbio certezze secolari, crea ombre sull’Autorità costituita di cui loro sono ferrei custodi. Meglio imporre l’auto elettrica, una follia totale che però arricchisce i tanti che la impongono e la sostengono. Eppure lo smart working è una risposta di grandissima intelligenza, a costo zero, ai problemi ambientali e di inquinamento. Riduce il traffico, riduce le necessità di riscaldamento di edifici, conviene a tutti, aziende e lavoratori. Eppure è vietato o deve essere autorizzato. Perché? Io non voglio che diventi obbligatorio, ovviamente, ma rifiuto l’idea che l’accordo tra lavoratori e azienda debba essere autorizzato da fonti superiori, dallo Stato in particolate. Puoi fare massimo due giorni, se hai figli minori di 14 anni e altre fesserie del genere. Perché? Nel pubblico poi è tabù, perché i dipendenti pubblici così non fanno più nulla. E quindi niente smart working. Invece se stanno negli uffici pubblici di persona, sempre questo il ragionamento, diventano il top della produttività. Il dipendente pubblico se non lavora non lavora da casa e non lavora in ufficio. In alcuni casi non è neanche colpa sua, perché l’hanno assunto per fare numero ma non si capisce nemmeno il suo ruolo. In altri è perché i dirigenti pubblici sono degli incapaci che non sanno gestire e controllare nemmeno se stessi figuriamoci gli altri. In tutto questo lo smart working non c’entra nulla. Comunque una conquista della tecnologia viene ostacolata da una società reazionaria e retriva, per nulla aperta all’innovazione e alla creatività. Come mai? Semplice. Ricordatevi che vivete in Italia, un paese meraviglioso gestito da persone orribili.