In teoria è la soluzione giusta. La regionalizzazione della Cattolica di Campobasso, come prospettata dagli onorevoli Ruta e Leva e dal presidente della Regione Frattura è la soluzione appropriata ad un sistema di sanità pensato per essere prevalentemente pubblico. Come ben sa chi ci segue sono assolutamente d’accordo che la sanità sia un bene pubblico, che il ruolo del privato nella sanità sia un’anomalia, che al limite per parti comunque marginali della sanità si possa ricorrere a gare di appalto ma non certo a concessioni vitalizie a soggetti privati privi di alcun rischio imprenditoriale. Il problema però è che la teoria è una cosa, la realtà e la salute della gente è un’altra. In questo senso la regionalizzazione della Cattolica non è più la soluzione giusta. Anzi rischia di diventare la soluzione sbagliata, la più sbagliata possibile per la salute dei molisani. Cerco di spiegare brevemente perché.
Nel Molise , con un’accelerazione nell’ultimo decennio, la sanità pubblica ha vissuto un processo di fortissimo degrado e caduta qualitativa dei servizi e delle prestazioni. D’altronde il fatto che il sistema sanitario pubblico molisano sia commissariato dal governo centrale da quasi dieci anni la dice lunga sulla situazione complessiva. La ragione di questo profondo degrado, lo stesso che ha portato ad un fatto storico come la manifestazione di piazza di Isernia di qualche giorno fa, è riconducibile essenzialmente ad un unico fattore: la politica. Come accaduto in tutta Italia la politica ha occupato manu militari il sistema sanitario, nella brama di mettere le mani sul suo ricco tesoro (100 miliardi di euro l’anno) e sugli sterminati bacini elettorali di cui la sanità e la cura della salute dispone. In Italia però abbiamo avuto, con un’accelerazione negli ultimi 15 anni, una cattiva, se non cattivissima politica. Una politica che ha visto la gestione della cosa pubblica come mera occasione di arricchimento personale, fregandosene di tutto il resto, salute dei cittadini inclusa. La regionalizzazione della sanità ha poi comportato che ad occupare lo spazio e i budget destinati alla salute della gente fosse la politica ancora più cattiva, quella locale, quella delle Regioni, mostro putrefatto di corruzione e inanità.
E in questa deriva gestionale il Molise ci mette il carico suo, avendo una politica, se possibile, ancora più cattiva e misera delle altre regioni. Il Molise è un sistema infatti molto piccolo, assimilabile ad uno stagno chiuso rispetto ad un fiume. E quindi diventa subito una pozza inquinata e maleodorante, senza correnti che possono pulirlo e rigenerarlo ogni tanto. Quindi la sanità pubblica molisana, occupata dalla politica peggiore si è degradata con una velocità ed una forza sconosciute agli altri territori. Per passare anche in questo caso dalla teoria alla pratica diamo alcuni esempi concreti. L’ Asrem ha oltre 700 dirigenti, di cui quasi un centinaio sono dirigenti amministrativi, cioè non impegnati nella erogazione delle cure ai cittadini. Cento dirigenti amministrativi non ce li ha nemmeno una grande multinazionale americana. L’ Asrem fino a qualche anno fa non era in grado di redigere, nonostante questo esercito di amministrativi, un bilancio completo del suo immenso giro di soldi. Se si spulciano i nomi dei dirigenti e dei funzionari, ma anche del personale sanitario si trova una sfilza di cognomi che ricordano a tutti le personalità ed i politici che hanno vissuto e operato nel Molise.
Il magazzino dell’Asrem non aveva ancora un proprio inventario e non si sapeva, come ha fatto notare il tavolo tecnico ministeriale, nemmeno cosa ci fosse, nonostante esprimesse valori economici per decine di milioni di euro. Non esiste un registro dei tumori regionali e l’evidenza ci dice che la mortalità da cancro nel Molise sia elevata anche per soggetti in età giovane o relativamente giovane. I servizi sono stati tagliati, la cultura della meritocrazia è inesistente, le strutture edilizie sono vetuste o come nel caso del Cardarelli di Campobasso bisognose di bonifiche talmente costose da prefigurare come alternativa il loro semplice abbattimento. Nella sanità pubblica molisana operano anche tante persone capaci, professionali e coscienziose ma la cultura prevalente, quella della cattiva politica e del clientelismo più rozzo, non ne premia lo sforzo e l’operato. Di contro la Cattolica per intervento dello stesso Papa Francesco è uscita fuori dalle secche del clientelismo e del familismo più bieco in cui anche era precipitata, effettuando una decisa virata verso la responsabilità e la qualità della cura medica.
Ed allora dalla teoria bisogna passare alla dura realtà, specie se mette in gioco la vita dei cittadini molisani. E con questa lente di ingrandimento la regionalizzazione della Cattolica non solo non è più una buona idea ma diventa una idea cattiva, quasi catastrofica. (P.C.)