La sua storia è, forse, quella di mille altri. E’ una storia di sofferenza, di tentativo di crearsi una vita migliore a migliaia di chilometri da casa, è una storia di ingiustizie subite, di paure. Tandia Mohuamadou è un giovane nato nel Mali ed approdato in Italia quasi un anno fa. E’ stato ospite dell’Hotel Le Dune di Campomarino, centro di accoglienza e smistamento degli immigrati. E’una persona mite, educata. Ha imparato anche abbastanza bene l’italiano. Insomma non certo una testa calda, come pure capita nel gran calderone dell’immigrazione italiana. Eppure oggi Tandia è segnato per sempre dal sistema di accoglienza italiana come persona rissosa e riottosa. Tanto pericolosa da essere oggetto di apposito provvedimento di revoca delle misure di accoglienza di cui era beneficiario. Lui non se ne fa capace, non sa cosa ha fatto di male.
Quello che Tandia non sa, o che sta imparando sulla sua pelle, è che il sistema amministrativo e di giustizia italiano non funziona. Genera mostri, non è capace di leggere la realtà, è un castello di carte che vanno da sole, insensibile ai destini delle persone di cui decide comunque le sorti. Un sistema che non è solo relativo al comparto immigrazione. In Italia la giustizia non funziona, la pubblica amministrazione non funziona, le aule dei tribunali spesso sono dei gironi infernali in cui si viene triturati e maciullati per anni. E Tandia ci è capito in mezzo. Cosa è successo in effetti? Tandia ha sbagliato, nel suo soggiorno alla Dune un solo giorno, quando ha partecipato ad una protesta, pacifica peraltro, presso la Prefettura di Campobasso perché dopo mesi, e come la legge prescrive, gli ospiti non avevano ancora ricevuto i documenti previsti dalle leggi sull’immigrazione. Purtroppo ad organizzare questa manifestazione erano stati altri immigrati del centro, questi sì notoriamente teste calde e riottosi.
Tandia in buona fede ha cercato di dare voce ai suoi diritti ma questo gli è stato fatale. La struttura che gestisce il centro di accoglienza lo ha segnalato accomunandolo al gruppo degli organizzatori. Un’errore, forse anche comprensibile nella grande tensione che questi centri di accoglienza ogni giorno vivono. Ma quella segnalazione è diventata un macigno, anche perché parlava di gravi e ripetute violazioni alle regole delle strutture di accoglienza. Lui, che aveva fatto anche da mediatore culturale quando il mediatore della struttura era caduto malato, ha trasecolato. Ma ormai la macchina era partita. Forte della segnalazione la Prefettura di Campobasso dispone rapidamente la revoca delle misure di accoglienza, con provvedimento notificato dai carabinieri. Tandia deve abbandonare Campomarino e diventare un profugo, senza ormai né diritti né voce. Non si arrende, cerca di contestare le accuse mossegli ma nessuno lo ascolta più. La segnalazione fa stato, lo schiaccia, lo condanna a vita. Fa anche ricorso al Tar, con l’avvocato che cerca di spiegare ai giudici, con prove e circostanze, che Tandia non ha mai commesso tutte quelle violazioni di cui è accusato. I giudici, specie quelli della giustizia amministrativa, guardano e leggono solo le carte ufficiali. E quella segnalazione riportata dal provvedimento della Prefettura è sufficiente e, come dicono loro, il provvedimento “è congruamento motivato”. Che poi non ci sia l’elenco della gravi violazioni, le loro circostanze, chi le ha verificate, chi le ha contestate, come si sia difeso il soggetto inquisito, le testimonianze pro e contro, questo non interessa a nessuno, tanto meno alla giustizia italiana. Anche perché, ma questo Tandia forse non lo sa, cose di questo tipo accadono ogni giorno a cittadini italiani, figuriamoci se si tratta di un ragazzo venuto del Mali per cercare un futuro migliore e più dignitoso. (P.C.)