E’ una situazione oramai difficile da gestire, quella della sanità molisana a causa dell’epidemia da coronavirus, ma anche per la serie di comportamenti poco consoni a favorire una soluzione o anche solo un miglioramento. La programmazione delle iniziative di contenimento è stata caratterizzata dall’inizio dalla diatriba Giustini-Toma e del relativo scambio di accuse e rimpallo di responsabilità che ha portato ad una situazione confusa e confusionaria, alle dimissioni del primo ed a una nuova fase di stallo in attesa dell’arrivo del successore. La squadra, che sarebbe dovuta essere compatta, era composta da Angelo Giustini e Ida Grossi (nominati dal governo centrale) da una parte e da Donato Toma, Oreste Florenzano e Maria Virginia Scafarto per la gestione ‘regionale’ del comparto. Trovarne due o tre che abbiano lavorato in sinergia con tutti gli altri sarebbe estremamente difficile e infatti non è avvenuto. Rapida sintesi dei fatti. il rapporto tra Giustini e Toma è partito male dal primo giorno ed è continuato ancora peggio fino all’epilogo dimissionario, peraltro motivato dall’arrivo nel frattempo di un provvedimento giudiziario d’inchiesta a suo carico. Giustini, libero dall’incarico, potrà motivare le sue scelte e correttamente si è dimesso prima di farlo. Questa personalizzazione del contenzioso tra Giustini e Toma ha messo in disparte il ruolo degli altri: Ida Grossi è sembrata più o meno equidistante dai poli opposti, mentre Florenzano e la Scafarto, essendo (anche per nomina) il braccio operativo di Toma, hanno parlato poco e comunque nella direzione scelta dal decisore politico regionale, fatto peraltro comprensibile.
Nel mentre la sanità si è avvicinata al tracollo e nessuna decisione politica, locale o nazionale, ha prodotto soluzioni tali da porre rimedio. Si potrebbero citare varie situazioni, tutte condite da dubbi: per settimane abbiamo sentito dire che la situazione era sotto controllo mentre di certo non lo era e alla fine quando l’ondata forte di contagio è arrivata (preceduta da ampie previsioni in merito) abbiamo scoperto che i posti di terapia intensiva erano pochi, che le strutture esterne per accoglierne altri non sempre erano pronte a riceverli, che i concorsi per l’assunzione di personale erano stati elaborati male e bocciati e quelli nuovi ancora non avevano portato risultato, lasciando i sanitari a soffrire per turni massacranti che, volenti o nolenti, portano a difficoltà nella gestione e ancor più nell’assistenza. Ultimo in ordine di tempo, poi, l’ospedale da campo a Termoli, costruito e completato prima di scoprire che mancava il personale per farlo andare avanti e quindi trasformato in hub di vaccinazione: quindi altri posti letto perduti.
La sanità molisana sta affrontando una sfida epocale e difficilissima e l’impressione è che la linea di comando sia disorientata e comunque non pronta alla battaglia. Allora la soluzione, che in verità vedendo le cronache nazionali forse non sarebbe necessaria solo al Molise ma anche ad altri è una sola: togliere responsabilità di programmazione alla Regione lasciandone solo l’imminente ed accentrare il potere decisionale in capo allo Stato, che dovrà prima interpretare i numeri, non avendone neanche molto tempo a disposizione. Non sarebbe una grande novità, è quello che è successo ogni volta che il territorio si è trovato ad affrontare un problema troppo grande da essere gestito in loco. Ma questa volta ci sono in ballo dolore e paura e un futuro a dir poco pieno di ombre. Non c’è tempo da perdere oltre quello già trascorso e servono decisioni rapide e risolutive, perché all’orizzonte c’è la disfatta morale e materiale di un territorio.
Stefano Manocchio