Dovendo fare un parallelismo politico tra i tempi attuali e quelli ‘andati’ sarebbe facile cadere in nostalgie, che poi lascerebbero il dubbio di essere condizionati dai ricordi giovanili; cercherò di essere il più distaccato possibile, senza nascondere anche i ‘difetti’ di quel periodo storico che ci ha visti giovincelli. Ho avuto l’impressione che negli ultimi anni, a prescindere dalla rappresentanza partitica e dalle persone, la politica italiana abbia segnato il passo e sia andata avanti con il ‘fiatone’ in un contesto internazionale difficile e di evidente debolezza, sia tricolore che europea.
La geopolitica ha visto aumentare i grandi attori e non vive più sullo scontro tra Usa e Russia, ma deve considerare quantomeno la Cina, oltre ad altre nazioni, che più o meno sono quelle del G8 ed in altri casi del G20, a seconda del contesto da considerare. In un ‘mondo’ più ampio servono doti maggiori di mediazione, qualità diplomatiche differenti ma anche conoscenza approfondita dello scenario internazionale, curriculum politico ed esperienza sul campo molto forti. A me pare che sia accaduto il contrario e quelli di un tempo fossero politici ‘di razza’, cresciuti ed istruiti proprio per quello e, quindi, attori più preparati nelle relazioni, nella comunicazione e nella conoscenza dello scenario globale. La debolezza italiana sul quadro internazionale, secondo me, trae radici da quella analoga sul fronte interno. I tempi sono cambiati e la politica con essi; ma nel secondo caso si trova difficoltà a trovare qualche, seppur parziale, indice di miglioramento, anzi mi pare evidente un calo di qualità nella formazione e nell’azione.
Sono cresciuto con il ‘mito’ di quelli che avevano preso le redini di un Paese stremato e ridotto alla fame e, in alcuni decenni, lo avevano portato nel gotha internazionale; e che poi, va detto, hanno rovinato gran parte di quel lavoro. Anche considerando ciò è indubbio il differenziale nella politica, ad iniziare dalla militanza di base e fino ai vertici; ciò innanzitutto perché gli eredi di quella classe dirigenziale erano i famosi ‘portatori d’acqua’, i capi segreteria, i collaboratori, quelli che sapevano come funzionavano i meccanismi interni alla politica ma non l’avevano provata sul campo, rimanendo nelle retrovie. Dopo il ‘tabula rasa’ dei primi anni ’90 sono stati questi, oltre ad una serie di neofiti della politica, a trovarsi improvvisamente nelle strutture di vertice partitiche e istituzionali, visto che tutto quello che c’era sopra era stato azzerato. La voglia di far vedere di non avere legami con il passato ha promosso spesso chi la politica poco l’aveva vissuta e masticata, mentre era venuta a mancare tutta una fascia di mezzo che non era ancora stata formata né costruita; e questo è uno dei grandi difetti della classe dirigente di allora, di non aver preparato la successione.
Quando in Italia c’è stato l’azzeramento di larga parte della partitocrazia, da Tangentopoli in poi, è partito l’abbordaggio piratesco al potere ( in senso figurato) , dove il bottino di guerra erano ministeri, grandi controllate pubbliche, istituzioni parastatali e la cambusa (non il liquore ma la zona navale) erano i corridoi di palazzo. E’ stato distrutto un metodo, che vedeva, nel bene e nel male, lunghi passaggi prima della carriera politica, appartenenza ad un partito e ancor prima ad un’idea e tutto è stato sostituito da una sorta di accumulo di tanti piccoli potentati e da un proliferare di sigle che a volte scimmiottavano l’antico, ma più spesso tentavano a nasconderlo dalla memoria, anche in maniera patetica. Ora il quadro appena descritto potrebbe sembrare eccessivamente sbilanciato e poco obiettivo e certo non nego che tutto ciò sia stato reso possibile o almeno facilitato dal fatto che quel sistema ‘migliore’ di fatto fosse già da anni abbondantemente degradato e malato, altrimenti Tangentopoli non ci sarebbe stata e invece ha scoperto un sistema che nelle sue maglie contemplava anche il malaffare. Ma possiamo dire che adesso almeno questo ‘male’ sia stato debellato? La risposta è tanto facile che neanche la pubblico!
La situazione sul differenziale di preparazione tra predecessori ed ‘eredi’ è tale che si potrebbe scrivere un libro; chi ha vissuto la politica almeno dagli anni Settanta in poi sentendo i discorsi di una volta, vivendo la partecipazione collettiva e spesso anche solo considerando la struttura organizzativa dei partiti potrà capire a cosa mi riferisco. C’erano le sezioni, che avevano un senso, le sedi dei partiti sempre aperte e sempre piene di gente, le riunioni di categoria, i collettivi e via discorrendo: ma soprattutto c’erano le ideologie, oramai scomparse. Dai tempi della scuola in poi o si era democristiani o comunisti, o al limite socialisti o socialdemocratici e, dall’altra parte, repubblicani e liberali o infine ‘missini’, rimanendo nei limiti previsti dalla legge e non ci si muoveva da quei canoni anche per tutta la vita; ora si è qualcosa d’indefinito, che cambia come il vento.
Sembra che sia crollato un mondo e che quello nuovo sia tutt’altro che migliore. Seguendo un tormentone sentito per decenni e modificandolo, sarebbe bello se tornasse la politica con la ‘P’ maiuscola, fatto quasi impossibile, ma ci accontenteremmo anche di quella con la ‘p’ minuscola.
Stefano Manocchio