La messe di notizie che negli ultimi mesi il Molise ha fornito alla stampa nazionale, per almeno tre quarti dei casi fortemente negative, non ha generato come conseguenza un cambio di comportamento della politica locale, che pure in buona parte ne era la protagonista. E’ nel carattere dei molisani il difetto di non cambiare e anche di ignorare il giudizio altrui, anche quando giustificato. La politica va avanti e va avanti questo Governo regionale, soprattutto ora che ha incassato la bocciatura della mozione di sfiducia. Bocciatura peraltro scontata, al punto che forse sarebbe stato giusto ritirarla, non fosse altro che per concentrare gli sforzi su questioni più importanti ed utili che ‘sprecare’ un’intera seduta di Consiglio regionale su una storia oramai chiusa. Mi spiego meglio. Le mozioni di sfiducia in Molise non passano da tanto tempo e forse non passeranno anche per gli anni a venire. Per avvalorare questa tesi ne cito due, che pure sembravano essere quelle con maggiore probabilità di riuscita. La prima venne presentata nell’era di Michele Iorio, promossa dal partito di Aldo Patriciello; forse è stata l’unica volta in cui il plenipoteziario isernino ha temuto veramente di cadere, anche perché l’avversario non era meno potente ed agguerrito oltre che territorialmente omogeneo. Finì in pareggio, con un dietro front di Camillo Di Pasquale in zona Cesarini e Iorio salvò il suo mandato elettorale. Secondo caso alla Provincia di Campobasso, con una tipologia differente, cioè la sfiducia da firmare dal notaio. I tredici consiglieri firmatari divennero 12 perché pare che Remo Grande, (almeno secondo la ‘mitologia politica’), bloccò il piede prima di salire il primo gradino che lo avrebbe portato nello studio notarile. Nei giorni scorsi il tema si è ripetuto più o meno con le stesse dinamiche: alla fine qualcuno che ci ripensa si trova sempre.
Voltiamo pagina. Il Molise, come detto, è finito spesso di recente sulle cronache nazionali, quasi sempre per la sanità e quasi sempre in negativo, con spazi mediatici, a volte ‘forti’, sia sulle reti Rai che delle maggiori emittenti private. L’ultima volta, pochi giorni fa, per la decisione del generale Figliuolo di mandare una task force sanitaria in Molise e Basilicata per dare manforte nella campagna di vaccinazione nelle aree disagiate. Un gesto importante ed utile, anzi certamente necessario, che però, come qualcuno ha fatto notare, è stato adottato solo per quelle due regioni (peraltro simili orograficamente e quindi soggette a difficoltà nel raggiungere tutto il territorio con la campagna vaccinale). Ora, il punto è che l’intervento pubblico dell’esercito è sempre un gesto estremo e avviene quando lo Stato si sostituisce al potere locale, nel caso in specie la Regione. Perché questa ‘sostituzione’ di poteri? Perché l’ente territoriale non riesce a garantire efficienza in un servizio essenziale, in questo caso quello sanitario: in sostanza è un commissariamento.
Quindi si potrebbe dire che abbiamo sperimentato anche il commissariamento della sanità già commissariata. Tutto ciò porta alla sconfitta della politica locale che, con tutte le giustificazioni del caso per la pesante situazione che è chiamata ad affrontare, più di una volta ha mostrato il fianco a debolezze strutturali, difetti organizzativi e anche a qualche scelta palesemente sbagliata. Nonostante ciò l’impressione è che dalle parti di Via Genova si continui sulla strada tracciata, senza dialogare con gli altri, senza ascoltare chi solleva i problemi. I tempi per recuperare la situazione e salvare il salvabile ci sono ancora, a patto di volerli utilizzare; ma senza un cambio di passo non si andrà da nessuna altra parte che verso il tracollo economico e sociale.
Stefano Manocchio