La comunicazione nazionale non di rado negli ultimi anni si è occupata del Molise e, a prescindere se sia accaduto per fatti positivi o negativi, è indubbio che riflettori che per decenni erano stati spenti iniziano ad orientarsi dalle nostre parti. Farsi conoscere è bene (“tutta pubblicità gratuita” si diceva un tempo); ma probabilmente qualche volta il ‘battage’ mediatico va oltre, crea miti e anche nemici esagerati, arriva a distruggere anche senza volerlo. La comunicazione adesso butta tutto in un gigantesco calderone, dalla radio alla Tv ma soprattutto ai social, dove le notizie si susseguono e spesso accavallano, o moltiplicano. Il sasso lo lancia la dichiarazione del personaggio famoso o il fondo in prima pagina del quotidiano illustre o ancora il servizio televisivo in prima serata o il tam tam mediatico in rete: nel giro di poco tempo si confeziona il ‘caso’ che si sviluppa poi in maniera indipendente e incontrollata, che poi diventa incontrollabile.
L’ultimo ‘caso’ che riguarda il nostro territorio è quello della pasta ‘colonialista’ in alcuni formati de La Molisana, con la polemica, generata come spesso accade negli ambienti politici-intellettuali di sinistra e sviluppatasi sul contrasto tra accusatori e difensori, fino alle scuse fatte dal management dell’azienda, che in una logica razionale dovrebbero adesso considerare il caso chiuso. Atteso che non c’era niente di ideologico e politico nel gesto visto che, come ha fatto notare qualcuno, uno di quei formati dal nome rievocativo del ventennio è universalmente utilizzato da vari marchi, compreso quello delle coop ‘rosse’. Per questo motivo non mi soffermerò più di tanto sulla questione, limitandomi a dire che un evidente errore di comunicazione (e probabilmente anche di marketing) ha creato un ‘incidente di percorso e diplomatico’ evitabile, ma oramai concluso con la revisione delle scritte dei formati della pasta e soprattutto con la cancellazione della spiegazione con riferimento al periodo del colonialismo italiano in Africa.
L’esempio molisano mi serve solo come apripista di un discorso generale sulla litigiosità, eccessiva e a tratti fastidiosa, che la comunicazione sta creando sui vari aspetti del variegato mondo culturale, costruendo ‘casi’ dove spesso neanche ci sarebbero i presupposti, innalzando barriere, sollevando polveroni. Fin qui tutto superabile: poi, però si arriva all’ostracismo, palese o nascosto, al boicottaggio, alla censura implicita di tutto quello che non è ‘politically correct’. C’è un sottobosco nella cultura internazionale che inizia a diventare imperante e fonda le basi nell’intransigenza e nell’insofferenza verso chi ha opinioni diverse e che ha potere a sufficienza per rimuovere notizie o cancellare interi pensieri. Questo porta al fenomeno della ‘cancel culture’ che diventa sempre più forte e che è trasversale, con metodi differenti da zona a zona o da ideologia a ideologia.
Non mi soffermerò sul manifesto di Harper’s e sulle firme dei 150 intellettuali, perché in genere i manifesti, siano ideologici o culturali, non sono nelle mie corde, preferendo l’idea singola e assolutamente personale; ma è indubbio che si stia esagerando. Due esempi recenti: le accuse di sessismo al film ‘Grease’ e quelle di razzismo ad Omero. Due motivazioni inesistenti e sconcertanti, peraltro su fatti ed ‘opere’ così distanti nel tempo. Il problema è che nel nostro Paese e nel mondo in generale a vote pare sia sufficiente che si lascino due o tre voci autorevoli a sollevare un problema per farlo diventare globale, anche morale, in un crescendo di interventi fatti più per apparire che per essere, perché poi alla fine quello che piace e rende è l’immagine.
Credo che si stia superando il limite con la polemica a tutti i costi, con l’indice puntato addirittura verso il passato remoto (in senso temporale) che viene decontestualizzato e immerso nella logica dei tempi nostri, senza considerare le differenze che allora c’erano nei costumi, nella mentalità e perfino nel linguaggio, quindi nel significato delle parole. In verità le polemiche su Omero, non necessariamente per lo stesso motivo, sono diffuse nel tempo e più di una volta il suo grande poema classico è stato censurato, sempre per lo stesso motivo, secondo la voglia matta ed irrazionale di giudicarlo con la mentalità del momento. Arriverà il giorno in cui diventerà fenomeno di costume delegittimare la storia e la mitologia e casomai qualcuno solleverà il ‘caso’ del consumismo irrefrenabile della Torre di Babele.
Mettiamo un freno all’ipocrisia ed alla smania di apparire, perché francamente non se ne sente più il bisogno.
Stefano Manocchio