Per trattare un argomento quale quello che ci accingiamo a descrivere non si può prescindere dai numeri; partiamo allora da quelli recenti. Il Molise si sta spopolando, inesorabilmente e velocemente. L’ultimo rapporto Istat evidenzia come lo scorso anno la nostra regione abbia perso 3mila residenti e in un triennio addirittura 14.817 abitanti. Al 31 dicembre 2019 la popolazione era pari a 305.617, al 1° gennaio 2022 era pari a 290.800. Di questi 210.600 in provincia di Campobasso e 80.200 in quella di Isernia. La nostra regione è quella che fa registrare l’incremento maggiore percentuale nella diminuzione della popolazione in Italia. Numeri preoccupanti, quindi, ma andiamo leggermente a ritroso nel tempo.
La XXXIIª edizione della storica ‘indagine sulla Qualità della vita nelle province italiane’, pubblicata lunedì 13 dicembre 2021 dal Sole 24 Ore ha evidenziato, qualora ve ne fosse stato ancora bisogno, forti criticità del Molise proprio nei dati demografici. Intanto il saldo migratorio, visto che la provincia di Campobasso figura al 101° poso in Italia nella differenza tra iscritti e cancellati ai registri anagrafe per trasferimento di residenza, con un dato negativo (- 5) che è esponenzialmente ben peggiore di quello medio nazionale (- 0,6); male anche il quoziente di natalità, con un 88esimo posto, Passando alla provincia pentra, questa ha una grave situazione per la natalità (91esimo posto) e saldo migratorio (104°).
In sintesi: poche nascite e tanti emigranti, che è il preludio per una trasformazione sociale, che prima o poi intaccherà anche tradizioni, usi e costumi. Se decidessimo di andare ulteriormente indietro nel tempo, scopriremmo come la differenza demografica su un quadro temporale maggiore porterebbe risultati ancora peggiori. In sostanza i giovani vanno via dal Molise da decenni, ma adesso il flusso migratorio è ancor più preoccupante che in passato, perché forte e costante, anzi in aumento.
SI potrebbe obiettare che il mercato del lavoro è libero ed ai giovani non si possono tarpare le ali, se vogliono andare dove possono trovare di meglio e soddisfazioni professionali maggiori; il fatto è proprio questo, che vanno via per non tornare, per potersi esprimere al meglio, lavorare e studiare. E’ un flusso migratorio diverso da quello degli anni ’50 o ’60 e non c’è nessuno con la valigia di cartone, nessuna scena di disperazione o dichiarazione d’affetto oltre il finestrino della carrozza ferroviaria. Vanno via i cervelli forti, i laureati con lode che non rimpiazzeremo facilmente o forse non rimpiazzeremo e basta. Vanno via quelli che devono costruire il futuro, che sia tecnologico o di lettere poco cambia, se poi resterà il vuoto.
Perché è successo tutto questo? Evitiamo l’analisi sociologica e la lasciamo agli esperti.
Il fatto è che da una lato c’è stata da sempre una certa sottovalutazione istituzionale del fenomeno, dall’altro manca il substrato economico e imprenditoriale, che non si è costruito perché nessuno, nel pubblico, nella politica e nel privato evidentemente ha sentito questa necessità. Si è andati avanti con piccole soluzioni tampone per l’immediato e non ci si è posti il problema del ‘dopo’ di come affrontare un fenomeno che era endemico. Di contro manca il riconoscimento meritocratico verso chi l’impresa la fa e bene, pur lavorando circondato dal deserto assoluto.
Alla fine resta da capire, obiettivamente, perché mai un giovane ambizioso e con grosse prospettive future dovrebbe poi rimanere in una regione che non può offrire futuro; è triste dirlo e la speranza è che da qualche parte arrivi l’inversione di tendenza. Un’ultima considerazione: tutti aspettano come manna dal cielo i fondi del PNRR e tutti si ‘buttano’ nel mucchio dei probabili fruitori. I progetti si moltiplicano e si accavallano, nel solco di un campanilismo che poi preclude la strada alle aggregazioni di imprese o di enti istituzionali; ci si dovrà confrontare in un quadro nazionale ben diverso, fatto di programmazione, coordinamento, esperienza nel settore e la battaglia per avere il dovuto non sarà facile.
La teoria del piccoli passi, che in Molise non vuol dire necessariamente prudenza ma anche conservazione dello staus quo, avrà anche qualche pregio, ma mostra adesso tanti limiti. Intanto i giovani continuano ad andare via e rischiamo di diventare una regione per vecchi. Il Molise esiste…ma per quanto tempo ancora?
Stefano Manocchio