E’ stato sempre il tallone d’Achille dell’economia regionale, il settore-cenerentola per le spese pubbliche: forse adesso in Molise qualcosa sta cambiando ed inizia a farsi strada l’dea che non è vero, come disse un ex-ministro, che con la cultura non si mangia (nel vero senso della parola, cioè creare il reddito minimo per arrivare a fine mese). L’annuale statistica sulla qualità della vita, su base provinciale, mette in evidenza come sia Campobasso, ma soprattutto Isernia, siano nei primi 50 capoluoghi di provincia nella statistica ‘cultura e tempo libero’ con il capoluogo pentro addirittura al 15° posto e quello regionale comunque in un onorevole 47° sulle 107 realtà provinciali. I dati, è bene precisarlo, comunque evidenziano uno sbilanciamento più sul tempo libero che sulla cultura ‘pura’.
Ad esempio Campobasso: tra le più basse in Italia la spesa pro-capite per spettacoli, basso l’indice di lettura dei quotidiani, buono il numero di bar per abitanti e discreto anche quello di cinema, mentre con le palestre ancora non ci siamo. Offerta culturale bassissima ma, a sorpresa, molto alto il numero di biblioteche in rapporto alla popolazione e buono anche il numero di ristoranti, mentre l’internet veloce è ancora scarsamente diffuso.
Vediamo Isernia: benissimo per numero di piscine (addirittura seconda in Italia), ma anche per eventi sportivi, palestre, indice di sportività e sorprendentemente seconda in Italia per numero di biblioteche ogni centomila abitanti (la provincia non arriva a tale numero di residenti). E ancora: buona presenza di bar. Ora i numeri negativi: 105° (su 107) per offerta culturale, e malissimo anche per l’internet veloce sul territorio, addirittura penultima in Italia per spese al botteghino per spettacoli culturali, male anche i dati sul cinema e sulla lettura di quotidiani, senza infamia senza lode librerie e ristoranti.
Ora chi, come me, ha avuto modo di vedere la ‘penuria’ degli investimenti e delle iniziative pubbliche degli ultimi trent’anni non può fare a meno di considerare che questi numeri, uniti alla considerazione ‘de visu’ di quello che sta accadendo siano il segno di un cambiamento evidente, ma sicuramente non sufficiente, perché il tempo libero è in un certo senso cultura, ma la differenza la fanno il teatro, il cinema, le presentazioni dei libri, le manifestazioni di pubblico interesse e la musica. Però, lo ripeto, passare dal ‘deserto’ del passato a qualcosa, è un segnale di progresso. Ci sono poi le manifestazioni territoriali, cioè tante piccole iniziative nei borghi antichi dei piccoli comuni che avrebbero alimentato l’estate molisana se non fosse esploso il fenomeno pandemico. Questo è un punto ulteriore di sofferenza: proprio mentre si assisteva ad un risveglio d’interesse pubblico intorno alla cultura, anche con investimenti concreti, l’epidemia e la conseguente clausura, il distanziamento sociale e i limiti per evitare gli assembramenti, misure di contenimento del contagio assolutamente necessarie seppur dolorose, hanno di fatto dato un duro colpo non solo al movimento culturale locale, ma alla percezione della gente della necessità di riunirsi intorno al sapere.
Allora, quando l’incubo pandemico sarà terminato, bisognerà ripartire da quello che c’é: le iniziative singole e ancor più i consorzi culturali (I ‘Borghi della lettura’ sono un esempio importante di quello che si può fare), ma anche simbolici (le panchine ‘letterarie’ a forma di libro a Macchiagodena proprio adesso, sono un segnale importante in vista della ripresa). La parola d’ordine dovrà essere: la cultura prima di tutto, perché dà da mangiare, fa star bene ed arricchisce la mente, quindi migliora la vita.
Stefano Manocchio