Le primarie di domenica scorsa hanno sancito, sia pure con qualche resistenza in più, la vittoria del nuovo corso democratico anche nel Molise. Ha vinto Micaela Fanelli, grazie al comune di cui è sindaco che le ha regalato i 1500 voti necessari per staccare l’avversario Laura Vennitelli. Ha vinto Paolo Frattura, renziano da sempre, che ha fatto campagna, insieme all’Italia dei Valori per Micaela Fanelli.
Ha perso la vecchia guardia del Pd, da Ruta a Leva al blocco di potere che aveva portato Frattura alla vittoria. Una vecchia guardia che, a dire il vero, non ci aveva capito niente e forse non aveva fatto nemmeno molto per capirci. Si vedrà adesso cosa succederà. Si vedrà se finalmente Frattura potrà onorare gli impegni con Aldo Patriciello, eurodeputato di Forza Italia sponsor del suo governo e in pendenza di vedere il cognato, Vincenzo Cotugno, entrare nell’esecutivo regionale. E se, così facendo, ci leverà dalle scatole la storia del quinto assessore. Si vedrà. La tattica politica locale vive di questo, di cognati e agnati, di amici e cordate, di conoscenze e di odi personali. C’è poco di politico, molto di tribale nella politica quotidiana locale. E, come tutte le beghe tribali, non c’è grandissimo interesse per chi non appartiene ai clan a seguire ogni spasimo di queste baruffe di potere. Vediamo allora se si può dire qualcosa che vada oltre le epopee di famiglie e consorterie in lotta per prendersi un pezzo di torta più grande . Qualcosa forse si può dire. Si può certamente dire che le primarie, con il modello Renzi, un modello plebiscitario e televisivo, non servono più a molto. Non mobilitano, atteso che, tranne il caso di Riccia, la partecipazione nei grandi centri è stata nell’ordine delle centinaia di unità. E non potrebbe essere altrimenti. Il Partito democratico è ormai un contenitore schiacciato sul suo leader salvifico. E Matteo Renzi è un populista intelligente e scaltro, cresciuto tra la Ruota della fortuna e l’addestramento della Democrazia Cristiana. Il ricorso alle urne, con lui è il termine di un processo non l’inizio. Il sondaggio è il vero voto, quella che misura l’audience di cui si dispone. E quindi il voto reale, con gli scatoloni e le matite serve solo per i grandi eventi, per l’incoronazione del leader e non certo per l’elezione di segreterie regionali. Lì si sceglie chi piace più al capo carismatico, in un modo o nell’altro. Guarda caso i segretari sono renziani, fino ad arrivare al padre di Renzi in Toscana. Renzi elimina il metodo comunista, faticoso e forse un po’polveroso delle decisioni pilotate dall’alto ma formalmente sancite dal basso e importa il sistema Mediaset nella sinistra italiana. Sinistra italiana che si riduce, così, ad un marchio storico, un blasone, un ricordo, forse una suggestione. Cosa dice o può mai dire di sinistra, per usare il linguaggio di Nanni Moretti, un Montezemolo, un gestore di hedge fund, un Farinetti della bresaola Dop, un Della Valle miliardario (in euro) con le scarpe fatte in Cina? Niente, ma intanto fanno la loro porca figura, convincono gli italiani e santificano Renzi. E questo ridonda anche nei territori. Il Molise già non contava nulla prima, oggi con il modello Renzi conta ancora meno. I suoi saranno l’equivalente dei dipendenti Finivest che Berlusconi metteva con successo nelle liste della prima Forza Italia. Soldatini disciplinati e moderni, presentabili e sorridenti, che nel loro piccolo hanno vinto la loro ruota della fortuna. Non c’è più dibattito politico, non c’è più analisi politica. Il modello Renzi è salvifico e fortunoso: il leader fa tutto lui: prima ascolta, poi riflette e infine agisce, con rapidità e determinazione. In periferia si seguiranno le istruzioni magari twettate del caro leader e i più efficienti renzisti potranno concorrere alla ruota della fortuna nazionale. Questa è oggi l’Italia, questo è oggi anche il Molise.