La tornata elettorale per le comunali di Isernia ha dato il suo responso, che non può in ogni caso essere ridotto ad un mero: “era prevedibile”, perché comunque avrà implicazioni anche nella politica del livello superiore, ad iniziare da quella regionale. Il punto di partenza è in quello che già è stato detto e cioè: a) la vittoria del centro sinistra è stata certamente facilitata dalla spaccatura nel centro destra; b) al ballottaggio la gente ha voluto lanciare un segnale chiaro alla politica: basta con le beghe di partito! Chiudere la questione su queste due affermazioni sarebbe riduttivo e l’analisi, per quanto possibile, merita un minimo di approfondimento. E’ indubbio che nel capoluogo pentro adesso il centro destra si lecchi le ferite e sia chiamato a riflettere sui danni provocati dalla storica rivalità tra due movimenti interni alla coalizione e cioè quello che fa capo all’europarlamentare Aldo Patriciello e l’altro, che si identifica nell’ex-presidente della Giunta regionale, Michele Iorio.
La contesa è di vecchia data, ma adesso ha portato ad un esito che, a dispetto di quanto si dica, almeno da una parte politica è inaspettato. Continua a circolare la voce che vuole Iorio a tal punto motivato a far valere le sue ragioni da aver lavorato ‘a perdere’ non solo al primo turno ma soprattutto al ballottaggio, favorendo volutamente l’esito finale, per poi rivendicare un suo ruolo indispensabile per evitare altri tracolli alla coalizione di centro destra; non sono a tal punto addentro alla politica isernina da poter confermare o confutare la tesi e mi limito a dire che se ciò fosse vero non sarebbe una strategia, ma un errore di valutazione, anche inaspettato se proveniente da un politico navigato.
Vediamo il risultato finale: il centro destra è all’opposizione e il partito di Iorio (ammesso che lo sia ancora) dai primi calcoli sarebbe privo di rappresentanza in Consiglio comunale: se è una vittoria, è una vittoria di Pirro! Anche l’altro esponente di Fratelli d’Italia, il responsabile regionale Filoteo Di Sandro, avrà poco da essere contento, visto che la sua dichiarazione di apparentamento al ballottaggio per Melogli sembrerebbe non essere stata molto ascoltata dagli iscritti pentri al partito, a meno di volerli considerare tutti ‘ioriani’. Non sappiamo cosa pensi la Meloni di ciò, ma riteniamo che un discorso ai due lo debba fare a meno di voler considerare la piazza molisana irrilevante nelle logiche nazionali. E’ anche vero che di dissidi nel partito, anche maggiori, ce ne sono altri; basti pensare che tra le sue fila ci sono esponenti che sono in maggioranza alla Regione ed altri all’opposizione. Ma questa è un’altra storia e la stoppiamo qui per il momento. Se Sparta piange, Atene non ride (o viceversa a seconda dei ruoli): anche il fronte ‘patricielliano’ ha poco da gioire, visto che l’avvocato Melogli ha perso la contesa e il primo comunicato ‘molto soft’ dell’onorevole venafrano fa presagire un periodo di riflessione sul da farsi. Fatto sta che Isernia è caduta e il feudo di centro destra non lo è più: ma occorre andare oltre nel discorso.
Solo schermaglie tra singole persone? Niente affatto c’è di più. La ‘caduta’ di Isernia testimonia il fallimento di un modello di politica fondata sulla conoscenza personale, o tramite passa parola, di cui Melogli secondo noi è vittima incolpevole; il ‘range’ regionale è fondato sui piccoli potentati personali, sul controllo diretto dell’elettorato, sugli amici e gli amici degli amici: e finora tutto questo aveva funzionato bene, anche se proprio le ultime regionali avevano mostrato i suoi limiti, visto che il movimento Cinque Stelle non era arrivato lontano dalla vittoria finale perdendo in zona Cesarini. C’è stato poi il voto di Campobasso a confermare una ‘ribellione’ verso la politica tradizionale, ma non ci addentriamo perché poi anche nel capoluogo di regione l’umore popolare è tutt’altro che di soddisfazione per la gestione amministrativa.
C’è un secondo elemento, l’affermazione di una politica che rimanda allo Stato le scelte generali e le politiche occupazionali, oltre alla considerazione che su alcuni fronti, ad esempio quello delle assunzioni e delle consulenze, il controllo sulle Regioni tende a diventare sempre più stringente.
Vogliamo dire che probabilmente siamo alla fine di un’era di cui la vittoria alle regionali di Toma (anche lui non ‘colpevole’ non essendo un politico di professione, ma inglobato in una logica di coalizione) possa essere vista come il colpo di coda di un sistema obsoleto non nelle persone ma sicuramente nei modi. Alla fine ad Isernia anche alcuni di centro destra hanno voluto dare un segnale votando Castrataro; ma sono ancor più quelli che hanno disertato le urne, soprattutto al ballottaggio. Le elezioni comunali si distinguono dalle altre per due motivi: a) il voto sulla persona e sui programmi; b) la partecipazione forte dell’elettorato. Ad Isernia c’è stato un ribaltamento di fronte e in più l’astensionismo: e questo vorrà dire qualcosa.
Il neo sindaco certamente ci ha messo del suo ed ha condotto una campagna elettorale con un programma chiaro, fondato sulla progettualità per intercettare finanziamenti utili alla città e sull’aiuto ai più deboli; una connotazione più sociale che politica, ma anche un segnale di speranza rivolto agli insoddisfatti, infondendo un generale senso di novità. I maligni dicono che non si sia dovuto spendere più di tanto per vincere, insinuandosi bene nella spaccatura della coalizione avversa; se anche fosse non sarebbe un demerito, ma credo che sia riduttivo non riconoscere che sia in corso anche un vento di novità e che lui l’abbia bene interpretato.
Quello che sarà lo vedremo nel prossimo quinquennio.
Stefano Manocchio