La vicenda delle primarie del Pd ha diverse chiavi di lettura. Nazionali, politiche, molisane, locali o iperlocalistiche. C’è un po’di tutto. Si può parlare del governo Letta, del trionfo di Franceschini e delle sue donne nella segreteria di Renzi. Ma si può anche parlare di Danilo Leva, già responsabile giustizia del Pd dopo l’8 dicembre non più tale. Oppure di Aldo Patriciello che ha incoraggiato, da Forza Italia in cui è oggi accasato, il voto per Frattura alle primarie del Partito Democratico. Per arrivare al sindaco di Campobasso che avrebbe rilanciato il nome di alcuni impresentabili locali, che però incredibilmente potrebbero aver indovinato il numero giusto sulla ruota della fortuna (lo stesso gioco che lanciò Matteo Renzi in tenera età).
Si può dire e fare di tutto, si può parlare di Scarabeo e della nuova Giunta, di Rialzati Molise, di Micaela Fanelli cui Frattura vuol fare le scarpe, di Frattura cui vogliono fare le scarpe la Fanelli e ovviamente Ruta. Si può parlare di Fioroni che sta con Renzi, che è la stessa corrente di Ruta o si può parlare di altro. Noi scegliamo la seconda opzione. E segnaliamo qualche cosa che va un po’ oltre la barriere fattuale delle lotte di potere tra uomini e donne, piccoli e grandi, perché di questo la narrativa precedente parlava. Fortunatamente c’è una eterogenesi dei fini rispetto alle vicende di un quinto assessore o di un quarto assessore defenestrato e rimpiazzato da un compaesano. Tutte queste umane vicende, spesso divertenti, spesso frustanti, qualche volta noiose si iscrivono in processi sistemici che non dipendono dalla volontà dei loro attori. Quello che è stato celebrato l’8 dicembre scorso, oltre alla Immacolata Concezione è, sotto questo secondo e più ampio profilo, la gloriosa scomparsa della politica come sistema ideologico. Dal punto di vista storico è la fine dell’ideologia e della componente comunista della sinistra, il suo trasformarsi in folklore, ricordo, bandiera ma non più potere. Un’operazione che il centro destra aveva già fatto con l’avvento del televisivo venditore di pentole, di palazzi, crooner di crociera e affabulatore insuperabile che è stato Silvio Berlusconi. Oggi arriva Matteo Renzi, che sdogana anche a sinistra la politica come immagine, soprattutto televisiva e mette in soffitta la politica come sistema pensoso e pensato, come lotta e gestione del potere in un ambiente stabile. Perché di questo si tratta. L’ideologia comunista si iscriveva in un disegno stabile, in una cornice strutturata. Il mondo è quello, immutabile. L’ideologia comunista, quella che Michele Petraroia con una lettera quasi commovente indirizzata all’unico eletto molisano della mozione Cuperlo evoca con nostalgia, era fondata sulla stabilità. Presupponeva la stabilità intesa come prevedibilità del tutto. La rivoluzione era solo il termine di un processo continuo, inarrestabile e prevedibile. Tutto era programmabile, bastava un piano quinquennale. Tutto era conoscibile dall’alto, tutto era dato, certo. Le risorse economiche potevano essere distribuite in modo equo (almeno in teoria) perché se ne conoscevano con precisione quantità e qualità. E in Italia questa ideologia aveva ancora una sua forza politica, gestiva molto potere. Un’ideologia, quella dei D’Alema ma anche dei Napolitano (guarda caso colui che giustificò l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 con il mantenimento della “stabilità”) che governava il principale partito della sinistra italiana ma non era più rispondente ai bisogni del paese. Il mondo è in continuo divenire, l’innovazione tecnologica sta facendo saltare tutti gli schemi, tutte le certezze, tutti i piani quinquennali. E la gente, che vota con la pancia, ha capito che la proposta comunista ormai non risolveva più nulla, non aveva appeal. I giaguari non sono da smacchiare, tutt’al più sono una specie in via di estinzione da proteggere e tutelare. Ed ecco perché ha stravinto Matteo Renzi. Perché interpreta il dinamismo del mondo nuovo, il dinamismo fluido di un’economia cangiante e multiforme, dove la gente per un Ipad è disposta a fare una notte di fila. Nel Molise ovviamente tutto questo si tinge di opacità localistica, ma anche da noi funziona. Non tanto per l’operazione Frattura (che pure ha uno stile comunicativo diverso dal tradizionale) ma quanto per Micaela Fanelli. A Riccia in 26 non l’hanno votata per le primarie, su quasi 700 persone. E forse quei 26 semplicemente avevano sbagliato a votare. Siamo di fronte ad una politica di persone non più stabili come immagine, ma multiformi caleidoscopiche, attrattive. Micaela Fanelli è sindaco, è mamma, è un esperto di economia, è sorridente e amichevole. Renzi è sindaco anche lui, popolare, imita Fonzie e va da Amici di Maria De Filippis. E’un format che è moderno, che spazza via il vecchio sistema, si adegua ad esso e viene riconosciuto da masse sempre più bombardate da televisori, computer, iphone e tablet. In questa la Chiesa Cattolica è sempre all’avanguardia, altrimenti non conservava un impero di un miliardo di persone per oltre duemila anni. Papa Francesco è un’icona dei tempi che mutano, è ancora più forte di Matteo Renzi. La chiesa cattolica ha tirato fuori da una delle sue palestre più affinati e cerebrali, quella dei gesuiti, una grande icona, un uomo al passo dei tempi, che la gente sente vicino. C’è solo un punto. L’8 dicembre in Italia è stata archiviata la tradizione di potere dei comunisti. Resterà come tradizione culturale ma non avrà più il governo della nazione e della sua economia. Nel Molise al solito non si capisce niente ma anche da noi prima o poi arriverà qualcuno credibilmente moderno, con la Fanelli in ottima posizione. D’altronde il fenomeno è virale. Se arriva uno, tutti gli altri lo imitano e alla fine lo scenario politico, come per magia è cambiato. Dicevamo di un dubbio. Renzi è sicuramente più moderno di uomini formatisi con la terza internazionale o con il pugno chiuso sotto la statua di Lenin. Ma è quanto di più avanzato oggi possa offrire il personale politico? Renzi è un Berlusconi riveduto, corretto e ringiovanito. Ma è e resta eminentemente un uomo della televisione. Il suo è un format televisivo perché oggi la televisione è ancora dominante, crea potere e distribuisce potere. Ma le dinamiche economiche più profonde ci dicono che tra qualche tempo (anche minimo perché il progresso tecnologico come detto non è prevedibile) la televisione perderà il suo ruolo egemone. Sarà la rete, la multiforme interazione tra mezzi e dispositivi di consultazione e comunicazione a dettare le regole del gioco, incluse quelle del potere. E Renzi,nonostante i suoi tweet, non è uomo della rete. In questo è già vecchio, o comunque a rischio superamento. Ma per l’Italia, ancora attardata con un capo dello stato di 88 anni al suo secondo mandato, al momento va bene così.