Forse il momento è arrivato, forse ancora no, forse si tratta solo di un falso allarme. La surreale vicenda di Ignazio Marino, sindaco della capitale d’Italia, segnala fibrillazioni sempre più profonde nell’assetto del potere politico ed economico italiano. Fibrillazioni che sono la manifestazione più visibile, cronachistica e anedottica, di movimenti tellurici molto più significativi che stanno interessando il mondo intero ed anche la nostra sventurata nazione. Il problema vero è il mutamento inarrestabile della struttura produttiva ed economica globale, cambiamento spinto essenzialmente dall’automazione tecnologica e dall’innovazione informatica. Sono forze talmente potenti che l’opposizione a tali sviluppi non è neppure un’opzione. Eppure chi ha vissuto in un mondo diverso, traendone agi e privilegi mai conosciuti prima, istintivamente si arrocca e si difende, cerca di tenere la posizione, di far sì che tutto resti immutato. In Italia, per complesse vicende storiche e sociali, la resistenza a questo cambiamento è più ostinata che altrove. Una classe dirigente predatoria e inadeguata (non solo politici, ma anche dirigenti, imprenditori, accademici e studiosi, giudici e controllori) si è chiusa in un isolamento solipsistico e rapace, continuando pratiche di depredazione dei beni pubblici (in primis le disponibilità liquide nelle casse dello Stato, ma non solo) che sono oltre che moralmente inaccettabili totalmente difformi dal mondo nuovo che si sta formando e creando. Il punto, filosoficamente, è assai semplice: con l’automazione la retribuzione dei fattori produttivi è spostata in avanti. Per poter essere retribuiti bisogna fare qualcosa di più di inserire prodotti nelle scatole, operazione che la macchina compie in maniera infinitamente più efficiente di un essere umano. Da qui derivano molte conseguenze che arrivano fino ai piani alti della politica e dell’economia. Per poter rivestire un ruolo guida bisogna prima dare qualcosa alla collettività, in termini di servizi, di idee, di gestione della collettività e solo dopo ricevere qualcosa in cambio, ottenendo la giusta retribuzione per il buon lavoro svolto. Il che chiama in causa la formazione culturale, la capacità di gestire o individuare sistemi di gestione complessi, cosa che le macchine non riescono (ancora?) a fare. Volando molto più basso vediamo cosa c’è invece in Italia. Siamo governati da persone che, al di là della discutibile preparazione umana e culturale (non basta leggere, o mostrare un libro di Murakami Haruki per diventare colto d’improvviso), non apportano nulla o pochissimo alla collettività. Volendo fare un esempio plastico quale innovazione, quale visione, quale utile intuizione per la collettività ha sinora fornito l’attuale ministro degli interni, Angiolino Alfano? Eppure lo stesso, ma è un esempio tra un milione, è spesato lautamente dalla collettività, che gli consente un tenore di vita per sé, per la famiglia e forse anche per molti suoi amici impensabile in qualsiasi altro mondo o tempo Alfano avesse avuto la ventura di vivere.
Ebbene questo sistema, che prima ancora che immorale è soprattutto inefficiente, sta per crollare. Cosa verrà dopo non si sa ma prima ci disfaciamo di questa gestione del potere, meglio è. Come disse Oscar Wilde è meglio una fine spaventosa che uno spavento senza fine. I tempi si stanno affrettando, le evidenze empiriche sono ogni giorno più evidenti. La vicenda di Marino, una vicenda di miserie umane mescolate ad insipienza e inconsistenza, potrebbe essere l’innesco del tanto atteso cambiamento. Ma potrebbe anche non esserlo, solo uno dei tanti falsi segnali. La lettura del sistema economico globale può farci intuire quale sarà lo sbocco ma non riesce a prevedere il momento preciso e la tipologia dell’episodio che fa da innesco. Si sapeva che il mondo alla vigilia della prima guerra mondiale era in profondo squilibrio. Ma non si poteva certo prevedere che tutto sarebbe partito dall’uccisione a Sarajevo dell’arciduca Ferdinando. Ed oggi siamo nella stessa situazione in Italia. Certo la vicenda Marino, una feroce lotta di potere tra feudatari del vecchio sistema, ha potenzialità dirompenti. La gestione dilettantistica fatta da Renzi di un personaggio complesso come Marino (ottimo medico, di grandi qualità, arronzone e superficiale nelle piccole cose del potere) ha innescato una tensione che si carica, ed è caricata dalla struttura economica in cambiamento. Roma è il simbolo eponimo dell’Italia, checché ne pensi un personaggio sopravvalutato e forse inutile come Cantone. Roma è la storia millenaria d’Italia, i fasti di un impero capace di innovazione leggendarie per l’umanità e per la civiltà umana, è molto di più di una Mafia Capitale o delle bocce di vino rimborsate ad un sindaco un po’ stralunato. Ed un esplosione del potere a Roma potrebbe finalmente farci voltare pagina. Noi, ovviamente, ce lo auguriamo (Pietro Colagiovanni)